La lunga strada che ci ha condotto a Bagan, oltre a panorami meravigliosi, ci ha offerto anche l’occasione di dare un’occhiata a come i birmani vivono quotidianamente. Non c’era molto da indagare, a dire il vero, visto che per centinaia di chilometri l’unico scenario visibile, ripetuto fino alla noia, erano campi di riso e poco altro. Ma non c’è solo riso, posso assicurarlo.
Palme da zucchero
Lungo il percorso, per esempio, Sonny ci ha invitato a visitare l’azienda – se così si poteva definire – di un suo amico, o congiunto, non abbiamo capito. Costui, insieme alla moglie e a qualche fratello, gestiva un campo di palme da zucchero. Non è un errore. Si tratta d piante che in apparenza sembrano delle palme in tutto e per tutto simili a quelle che producono i più convenzionali cocchi: sono alte, fusto sottile, gran ciuffo di rami e foglie solo in cima. La differenza la fa il frutto, che è più piccolo, scuro, con un cuore commerstibile piuttosto ridotto ma gradevolissimo. I contadini raccolgono questi frutti arrampicandosi arditamente sulle piante tramite dei ramponi legati ai piedi; raggiungono i frutti, li accumulano in un cesto di vimini che portano appresso e poi scendono altrettanto velocemente. Ogni viaggio rende pochi frutti, non tutti idonei ad essere trattati; di conseguenza il contadino ripete la pericolosa ascesa più volte al giorno.
Infine, quando la raccolta è soddisfacente, si passa alla seconda fase: la produzione di zucchero. Il succo di questi frutti viene cotto in un pentolone su fuoco vivo, mescolato continuamente, finché non raggiunge la consistenza di una pasta densa e grigiasta. Una volta asciugata diventa la base di varie pietanze, tra cui gustosissime caramelle confezionate in modo piuttosto elegante all’interno di scatolette di fibre di palma. Noi, inutile dirlo, ne abbiamo fatto incetta, visto che da quelle parti trovare un dolce come si deve è un’impresa…
Gomma grezza
L’altra attività che Sonny ci ha mostrato, è la produzione artigianale della gomma. La foto principale di questo post mostra delle stuole di gomma grezza poste ad asciugare all’interno di appositi magazzini che le proteggono dalla pioggia. E’ un mestiere piuttosto diffuso, specie dalle parti di Bagan, che rende anche bene, a giudicare dallo stato delle abitazioni dei contadini. Tuttavia, si basa sulla paziente raccolta della resina realizzata come si faceva un tempo, incidendo la corteccia dell’albero di caucciù (che non è autoctono, ma importato dagli inglesi dal Sudamerica) e raccogliendo la linfa bianchissima in un barattolo. Non si ricava molto, a quanto ci ha detto, solo pochi grammi per volta; peraltro non bisogna incidere sempre lo stesso albero, perché altrimenti lo si esaurisce. Di contro, non sembra un’attività molto faticosa, dato che si basa unicamente sulla scelta dell’albero giusto e sull’attesa della preziosa linfa. La parte difficile ci è sembrata quella immediatamente successiva: la cottura della gomma e la sua trasformazione in stuoie marroni, elastiche ma neanche troppo, pronte per essere vendute sui mercati specializzati.
La frutta del Myanmar
Infine, è molto comune imbattersi in bancarelle – fisse o su ruote – che vendono frutta di tutti i generi. Qui non c’è che da scegliere: angurie, meloni, liches, cocchi, pesche, jackfruit, ananas, banane e durion la fanno da padroni, oltre ad altre varietà di cui non ricordo più il nome. Consiglio di fermarsi ed assaggiare queste specialità. Il gusto di questa frutta è inimmaginabile. Davvero. Come penso testimoni sufficientemente la foto che segue.