Sulle strade del nord dello Sri Lanka non è raro imbattersi in bancarelle improvvisate o in minuscoli chioschetti che vendono qualcosa da mangiare. In genere si tratta di frutta e verdura, ma in una zona particolare dell’isola, situata sulle colline che precedono l’arrivo a Sigirya, il prodotto più venduto è di un tipo piuttosto insolito.
Si tratta di quello che le guide di viaggio sbrigativamente chiamano “yogurt di bufalo con miele di cocco”. Peccato che non sia né yogurt né quantomeno miele. Il che non ne pregiudica, comunque, la bontà. Perchè questa prelibatezza, posso assicurarlo, una volta assaggiata può diventare una droga, capace in taluni casi di produrre assuefazione e vera e propria dipendenza.
Non sto esagerando, lo giuro. Capisco che la maggior parte dei turisti nutre una comprensibile ritrosia ad avvicinare alla bocca qualsiasi prodotto derivato dal latte in un posto come Sri Lanka. Specie se chi te lo offre lo maneggia senza guanti, lo espone non solo alla vista dei clienti ma anche alle incursioni di ogni specie di insetti alati, lo conserva in modo precario e senza le minime condizioni di sicurezza alimentare.
Queste rivendite, in effetti, a tutto invitano meno che a una sosta con degustazione annessa. Quella in cui ci siamo fermati noi, come si vede dalla foto, non era neppure la più malmessa della zona. Vendeva un po’ di tutto, dal pesce essiccato (vera fonte primaria di alimentazione in Sri Lanka) a prodotti meno tradizionali come saponette e sigarette. Ma il bene più ambito, posto sagacemente su un bancone in primo piano, era il famoso yogurt di bufalo, collocato dentro contenitori di terracotta molto graziosi e coperto, fino al momento consumo, da un impalpabile foglio di carta trasparente.
La donna che gestiva tutto aveva avviato un fiorente commercio di tale prodotto. Oltre alla degustazione, di cui parlerò fra poco, aveva preparato una serie di terrine sigillate e provviste perfino di marchio di fabbrica, pronte per essere portate via e – eventualmente – spedite all’estero. L’altro prodotto di punta, il miele di cocco, era offerto in due versioni differenti: una in un piccolo flacone, simile a quello dei nostri sciroppi per la tosse, di plastica, indubbiamente pensato per l’asporto e l’imbarco aereo. L’altra in bottiglia, di vetro, chiusa alla bell’e meglio, idonea ad un uso immediato.
La degustazione comprende la fase della scelta dello yogurt e la successiva decisione di irrorare o meno tale alimento con il famoso miele di cocco. Dopo aver finito di mangiare, si è liberi di tenersi la terrina contenitore per ricordo. Questo fantomatico yogurt di bufalo in effetti è più una cagliata che uno yogurt. E del resto, ad essere onesti, gli stessi cingalesi lo chiamano “curd”, appunto cagliata. Il sapore è comunque di yogurt, meno acido del solito e piuttosto grasso; la consistenza è quella del budino. Ma si tratta comunque di un prodotto molto gustoso, ripeto, tale da non poterne più farne a meno.
Il miele di cocco ha poco a che vedere con il miele delle api. Probabilmente si tratta di una melassa prodotta dai derivati della palma da zucchero. In ogni caso, l’aspetto è indubbiamente quello del miele non cristallizzato. Forse per questo motivo invoglia all’assaggio. Rosso e denso, una volta versato sul budino di caglio, diventa un dolce che ha rari paragoni al mondo. “Honey and curd”, del resto, è uno dei dessert fissi di qualsiasi menu cingalese da Kandy in sù.
Noi lo abbiamo assaggiato la prima volta proprio nel negozietto sgangherato della foto. Ci è subito piaciuto immensamente, tanto da indurci ad acquistare una bottiglia di “miele” e successivamente, dove lo trovavamo, richiederlo spesso sia a colazione che come dessert. Ma quel primo contatto, sotto il sole a picco della savana che circonda Sigirya, circondati da curiosi e sfaccendati che si chiedevano che diavolo andavamo cercando da quelle parti, è stato senza alcun dubbio il più soddisfacente. Il sapore di quello yogurt era unico, davvero, e consiglio di provarlo, perché ne vale la pena.