Se il tempo è clemente, consiglio vivamente di fare una passeggiata a Yangon. Non perché è una città in cui sia gradevole passeggiare, tutt’altro. Yangon è soffocata da un traffico opprimente, malsano, disordinato, in cui il clacson e il fumo di scappamento la fanno da padrone. Una camminata nel centro caotico di Yangon è forse l’unica occasione per vivere in profondità le contraddizioni di questa nazione, divisa tra un passato che si vuole dimenticare, o almeno mettere da parte, e un futuro incerto e inquetante.
Le contraddizioni balzano subito all’occhio. Palazzi in avanzato stato di decomposizione che si reggono per miracolo e negozi moderni; mercatini coperti da semplici teli sfibrati e centri commerciali all’ultima moda; (poche) auto di grossa cilindrata e una miriade di mezzi degli anni Ottanta, revisionati alla meglio, rumorosi e inquinanti.
In città ferve una certa attività, specie in prossimità dei mercati. Qui le bancarelle si alternano a baracchini in cui si vende solo un articolo, o qualche libro, o kiàt in cambio di dollari, anche usati. La maglietta falsa (di probabile derivazione thailandese) è l’oggetto più desiderato e venduto. Dappertutto si vedono grandi cartelloni pubblicitari, in doppia lingua, che scimmiottano per stile e tipo di messaggio le pubblicità occidentali.
Gli autobus sono rari. I mezzi più diffusi sono furgoni con panche all’interno, semi coperti, che fungono da taxi collettivi. Caricano una quantità spropositata di gente e partono solo quando sono pieni. Questi mezzi li abbiamo visti girare anche fuori città, e quindi si trattava del mezzo di trasporto più utilizzato in tutto il paese. Anche il moto taxi è diffuso, proprio come in Thailandia, e come laggiù è meglio evitarlo. Non abbiamo visto invece tuk tuk.
In mezzo a edifici cadenti e palazzine di evidente origine coloniale, ecco che ogni tanto spunta una pagoda. E il contrasto non può essere più stridente: tanto più sporche e a pezzi appaiono le costruzioni moderne, tanto più magnifici, brillanti, pomposi appaiono i templi, con le loro linee eleganti e pulite e quella predominanza di color oro – vero o falso che sia – che in quel contesto ha il sapore dell’insulto. Qualcosa a cui è bene abituarsi in fretta perché è la dominante scenica di tutte le città, i paesi, le campagne del Myanmar.