Poco prima di giungere a Mandalay, la nostra guida Sonny ha ritenuto opportuno fare una sosta presso un monastero di campagna. Il luogo era davvero molto campestre, poco appariscente rispetto ai canoni a cui eravamo abituati. Alcuni edifici anonimi, qualche tettoia adibita ad aula scolastica, un paio di stupa e nient’altro. Ciò che caratterizzava questo luogo – e che Sonny teneva a farci conoscere – è l’attività educativa svolta dai monaci a favore dei bambini più poveri che non hanno modo di accedere a qualsiasi tipo di istruzione.
In pratica si insegna appena a leggere e scrivere, beninteso, ma in alcuni posti del Myanmar – e penso del mondo – anche questi rudimenti di istruzione sono pur sempre un grande contributo. Il tour del monastero ci ha permesso di capire come funzionano queste scuole-comunità in Myanmar. Sono istituzioni che si reggono sull’attività volontaristica di maestri, cuochi, contadini, che prestano una parte dei loro servizi in modo gratuito; i monaci pensano a procurare ciò che serve per mandare avanti l’attività, in sostanza cibo e – quando è possibile – denaro. Tutto il resto è affidato alla carità dei villaggi circostanti.
Gli occasionali turisti vengono invitati – o sarebbe meglio dire costretti – ad assistere a tutte le attività del monastero per quella che sembra, a prima vista, una visita puramente istruttiva. In breve ci si accorge che non è così. Il motivo principale di quella sosta, infatti, è fare in modo che il turista, volente o nolente, sganci un’offerta in denaro, meglio ancora se in moneta pregiata. Ciò che puntualmente è accaduto a noi.
Dopo aver visitato aule, cucine, zone svago e aver socializzato per bene con maestri e allievi, ecco che Sonny ci conduce davanti a un monaco dall’aspetto truce. Ci viene presentato come il boss dell’azienda, il capo dei capi, e fin lì niente di sospetto. Se non che, dopo qualche secondo di imbarazzo, il tipo ci indica in modo inequivocabile di lasciare qualcosa sul tavolo. Sonny ci viene in aiuto e ci spiega che è tradizione che i visitatori facciano un’offerta libera al monaco.
Chiedo pertanto a quanto ammonta questa offerta libera, pensando a poche lire. Sonny, imperturbabile, ci sussurra che per meno di 30-40 dollari non è il caso di provarci neppure. Un po’ frastornato dall’esosità della richiesta, ma incapace di oppormi, metto mano nel portafoglio e tiro fuori un po’ di quei dollari che, in linea teorica, avrei dovuto riportarmi a casa perché in Myanmar non sono accettati. Il monaco, sempre con fare imperturbabile e senza mai guardarci in faccia neppure una volta, prende il denaro e lo nasconde rapidamente dentro le pieghe della sua tunica.
Superato questo momento poco edificante, assistiamo ad una lezione di disciplina birmana. Un bambino dall’aspetto trasandato e sporco, viene interrogato da un monaco su qualche argomento a cui il piccolo non sa dare risposte adeguate. Il piccolo viene incalzato dall’insegnante ma non riesce proprio a dare la risposta giusta. All’ennesima sciocchezza, il monaco lo colpisce rudemente con una specie di verga dalla punta appiattita, come masticata, sulla testa.
Io e mia moglie trasaliamo, ma il bambino, evidentemente abituato a tali manifestazioni di violenza, non sembra averla presa male. Retrocede all’ultimo posto della fila dei bimbi e continua a ripetere a memoria la cantilena che gli stanno insegnando. Il monaco, da parte sua, continua a ripetere le sue minacce e a schioccare la verga a terra, producendo nei bambini sussulti e sguardi timorosi.
Poco più in là, ecco una scena che mi ha fatto pensare al tipo di punizione che i monaci riservano ai più discoli e indisciplinati. Un gruppetto di bambini sembrava giocare con la sabbia. Avvicinandomi ho scoperto che stavano estraendo da mattoni rotti del materiale argilloso con cui riempivano dei sacchetti trasparenti. Una punizione o un’attività complementare all’istruzione – per così dire – gratuita?