Una delle immagini da cartolina di Bali è il suggestivo sito di Ulun Danu Beratan, posto a pochi chilometri da Ubud. Si tratta di un complesso templare la cui principale attrattiva è un tempio che sembra galleggiare sulle acque di un lago incorniciato da risaie e foreste. Un luogo più turistico che religioso, a giudicare dall’affollamento e dalla quantità di iniziative commerciali tutto intorno ad esso, ma che mantiene un fascino non indifferente. Specie quando arriva la nebbia e lo avvolge quasi completamente.
Come dicevo, si tratta in effetti di un complesso templare: le pagode vere e proprie sono due, quelle che emergono dal lago Beratan, ma esistono altri tre templi sulla terraferma nei quali si svolgono le cerimonie di tutti i giorni. L’ingresso è gratuito per i balinesi, ovviamente, ma ai turisti è richiesto il pagamento di 50.000 rupie. Una cifra non casuale, a pensarci bene, visto che la bancanota da 50.000 mostra su un lato proprio l’immagine di Ulun Danu Beratan. Il biglietto permette di entrare nell’area sacra e percorrerla a proprio piacimento, passando da un tempio all’altro, salvo il caso ci siano cerimonie in corso. Allora l’ingresso viene sbarrato ai non fedeli, che possono accontentarsi di osservare i riti da fuori, magari arrampicandosi sui muretti che delimitano i templi.
Essendo posto a 1200 metri di altitudine, il clima non è esattamente quello che ci si aspetta da un luogo tropicale. Dimenticatevi il caldo e l’afa delle pianure. Sul lago Beratan la pioggia prima o poi arriva sempre, e quando arriva può diventare molto fastidiosa. Per questo consiglio di munirsi sempre di felpa e cerata, anche se ci troviamo a Bali e fino a ieri non indossavamo altro che maglietta e bermuda.
L’altitudine, inoltre, provoca un fenomeno molto pittoresco: la nebbia, che invariabilmente giunge dal lago, si espande lentamente sulla terraferma, avvolgendo prima le due isolette e poi tutto il resto del complesso. Quello è il momento forse più esaltante per prendere delle foto davvero notevoli, ma occorre essere tempestivi. Il momento buono è breve, dura pochi minuti; una volta che la nebbia ha invaso ogni spazio è finita, i soggetti spariscono e rimane solo un grande velo bianco, freddo e umido, che ti inzuppa da capo a piedi e ti costringe a trovare riparo al chiuso.
Nel corso della nostra visita, oltre ad aver assistito all’arrivo del consueto nebbione di tarda mattinata, abbiamo potuto intravedere una cerimonia molto particolare. Un gruppo di fedeli, in abito evidentemente rituale, aspettavano seduti l’arrivo di un santone. Dietro di loro attendevano delle ragazze acconciate da ballerine. Io ho cercato di riprodurre qualche momento della cerimonia, ma non ci sono riuscito. Un po’ per la posizione scomoda in cui mi trovavo, arrampicato su un piedistallo fuori dal recinto in posizione precaria; molto perché sembrava che non succedesse proprio nulla. Le ballerine sono rimaste al loro posto, avvolte in mantelli caldi, le persone vestite di bianco hanno continuato a conversare senza mostrare la minima attenzione a quanto avveniva di fronte a loro – che io non riuscivo a scorgere. Nel frattempo il tempo stava peggiorando rapidamente…
Fra le attività che fanno da contorno ai riti religiosi, segnalo la sgradevole abitudine di farsi fare una foto tenendo in mano una volpe volante. Ebbene sì, parlo proprio di quegli enormi pipistrelli della frutta, dal muso di cane, che sono così numerosi in quasi tutto il sud-est asiatico. Il povero animale viene costretto a posare con il turista, il quale ha due alternative a disposizione: o lo tiene per le zampe, a testa in giù, oppure lo afferra per le ali aperte; cosa non molto gradita al recalcitrante chirottero, a giudicare dagli scossoni e dalle convulsioni in cui si produce continuamente. La posizione, infatti, sembra alquanto innaturale, ma il turista di turno, pur di avere questo trofeo fotografico, non ci bada molto.