Mangiare qualcosa di buono a Yogjakarta non è affatto un problema. Anzi, si potrebbe dire che se c’è qualcosa la cui offerta è sovrabbondante, questo è proprio il cibo. Lo street food di Yogjakarta, tuttavia, si distingue abbastanza nettamente da quello che si può trovare in una qualsiasi altra città indonesiana. Qui, quando si dice “mangiare per strada”, s’intende proprio questo!
Chi proviene da località di villeggiatura “più educate”, turisticamente parlando, come Bangkok, Bali e Lombok, è meglio che metta da parte le abitudini di consumo acquisite in quei luoghi. A Yogjakarta lo street food è principalmente un affare per autoctoni o al massimo forestieri provenienti dalle altre parti del paese. E quindi ogni alimento, ogni pietanza, ogni piatto, viene mostrato, offerto e mangiato secondo i costumi locali.
Che qualcosa sia cambiato lo si intuisce immediatamente alla prima uscita. Il primo impatto non è quasi mai piacevole. Nel mio caso, percorrendo una delle vie principali della città, Malioboro Street, ho provato un inedito senso di straniamento dovuto al fatto, probabilmente, che non riuscivo più a raccapezzarmi. Ciò che vedevo intorno a me mi risultava nuovo, caotico, poco fruibile. Una sensazione un po’ angosciante, bisogna ammettere, per uno come me che si riteneva ormai abituato a qualsiasi novità.
Il fatto è, più realisticamente, che a Yogjakarta il mondo va secondo schemi, consuetudini, ritmi che la modernità ha scalfito solo in superficie. Tutto ancora gira intorno ad una attività economica che potremmo definire di base, ovvero il commercio allo stato semi-brado. Sulla stessa strada, appunto, è possibile osservare, uno affianco all’altro, i diversi stadi di crescita di una attività commerciale: il fazzoletto steso per terra con pochi prodotti agricoli disposti su di esso; il palchetto addossato ad un muro; la bancarella su ruote con un minimo di riparo dalla pioggia o dal sole; il piccolo negozio di 2 metri per 2; il magazzino con la merce addossata alle pareti; il grande centro commerciale con scale mobili e baretto interno.
Anche nella ristorazione l’offerta risponde a questi criteri. La tipologia dominante è la bancarella su cui sono esposti spiedini, cosce di pollo e altra carne indefinibile appena cotta. Malgrado l’aspetto poco invitante, sembra che queste siano le pietanze più gradite in assoluto a Yogjakarta; quindi è evidente che nessuno faccia uno sforzo, per quanto minimo, per adeguare l’offerta di cibo ad un livello più alto, più turistico. D’altronde, parliamoci chiaro: chi mai si avvicinerebbe ad un chioschetto che frigge in continuazione pezzi di carne che poi ripone su un banco, una sopra l’altra, in balia di agenti atmosferici e insetti di tutti i tipi?
Il risultato è che a Malioboro Street (che è peraltro una via molto lunga), non c’è quasi altro da mangiare che spiedini e pollo fritto, offerto nel modo appena descritto. E ai turisti non rimane altro che adeguarsi. Il che succede più spesso di quanto si creda, lo posso garantire, come testimonia la foto sopra. Del resto, non avendo niente di meglio a disposizione, è bene fare buon viso a cattivo gioco.
Ho anzi notato che addentare una magra coscia di pollo viscida e maleodorante non sembrava proprio un sacrificio immane. Molti turisti mi sono sembrati piuttosto soddisfatti del sapore di ciò che stavano mettendo sotto i denti. Io stesso, il primo giorno a Yogjakarta, mi sono concesso un paio di spiedini tipici da consumare al volo. Il primo, più caratteristico, era quello composto da 4 o 5 palline di non so cosa, marinate e poi disposte sulla brace. Il sapore era ottimo anche se la consistenza, piuttosto gommosa, mi ha un po’ lasciato perplesso. Il secondo spiedino, acquistato presso la donnina immortalata nella immagine principale di questo articolo, era più tradizionale e comprendeva un misto di carni di pollo e frattaglie (sempre di pollo). Gustoso e piccante al punto giusto, in pieno stile giavanese!