Un aspetto da tener in debito conto, quando si visitano i templi di Bagan, è che si tratta sempre e comunque di un’area sacra. Non è un parco divertimenti, dove scorazzare a piacimento. Molti edifici sono ancora adibiti al culto. Lo si capisce chiaramente perché custodiscono al loro interno una zona, più o meno estesa, in cui i fedeli depositano offerte di cibo e accendono lumini. Altri segnali a cui prestare attenzione: addobbi e nastri colorati all’ingresso; la presenza di un sonnacchioso custode; il via vai di qualche monaco.
Essendo un’area sacra, quindi, evitare di mancare di rispetto verso i riti e le persone che li compiono. Le cerimonie buddiste, in genere, sono poco appariscenti e si svolgono interamente davanti a un altarino con dell’incenso e l’immancabile effige del Buddha. In queste corcostanze nessuno fa caso ai vostri passi, siete pressoché liberi di muovervi a piacimento per il tempio, non darete noia a nessuno. A meno che non iniziate a compiere gesti e azioni che per il locali sono considerate riprorevoli. Per esempio, cercare di avvicinarsi al tabernacolo scavalcando i fedeli inginocchiati davanti a esso. Oppure sedersi insieme a loro – non è proibito – ma con i piedi di fronte alla statua – questo sì che è proibito! Parlare ad alta voce e schiamazzare – come del resto avviene in qualsiasi luogo di culto cristiano – è considerato maledettamente poco educato. Si possono scattare foto a piacimento, con il flash o meno, ma sarebbe meglio non farle direttamente alle persone mentre sono impegnate nelle loro cerimonie; non almeno senza aver chiesto il permesso prima.
Rispetto, prima di tutto
Il rispetto si misura anche dal modo in cui i turisti affrontano il principale divertimento di Bagan: arrampicarsi sui templi. Sembra che sia quasi l’unico motivo per venire quaggiù. Malgrado la maggior parte degli edifici sia pericolante o in avanzato stato di degrado, non esiste un modo efficace per impedire ai più dissennati di compiere la mitica arrampicata, raggiungere la cima e ammirare il panorama. Ho visto infatti un sacco di gente, turisti di matrice anglo-sassone, sopratutto, fregarsene altamente dei divieti e tentare delle scalate che avrebbero di fatto terrorizzato lo stesso Messner…
La scalata al tempio, peraltro, ha una controindicazione importante, che non tutti considerano nella giusta luce. Essendo un luogo sacro, come tutti i luoghi sacri buddisti e induisti, è obbligatorio togliersi le scarpe prima di accedervi. Ciò significa che potrebbe essere necessario privarsi delle calzature molto prima di raggiungere il tempio vero e proprio. Il perimetro sacro, infatti, inizia spesso al primo cancelletto esterno, parecchie decine di metri in anticipo rispetto all’effettivo ingresso. Pertanto, siamo costretti a percorrere il tragitto che ci separa dalla scalinata a piedi nudi, su un suolo spesso reso viscido dalla pioggia, non di rado disseminato di piante incolte e pietre ruvide. L’arrampicata avviene quindi senza l’ausilio di scarpe tecniche specializzate o di altre diavolerie moderne: è un piacere – e una sofferenza allo stesso tempo – riassaporare il contatto dei nostri piedi nudi con la nuda pietra, sentirne ogni avvallamento, spaccatura, rilievo. Se non piove l’esperienza può essere addirittura gratificante. Se piove, al contrario, diventa l’ennesima prova di incoscienza e temerarietà.
Prudenza, sempre e dovunque
Dal momento che lo sport dell’arrampicata al tempio è l’attività che attira più turisti, inducendoli a soggiornare a lungo a Bagan, i locali tendono a non scoraggiare tale pratica. La sicurezza personale, in luoghi del genere, è un concetto astratto, soggettivo; se ce la fai bravo, altrimenti peggio per te. D’altronde, eccettuati due o tre edifici sicuri, i migliori templi da cui ammirare il panorama sono quasi tutti vietati al pubblico. Ma siccome non sembrano così male in arnese, e dopotutto non c’è nessuno che ti impedisca di farlo, perché non tentare lo stesso la scalata?
L’immagine di questo post si riferisce ad uno dei templi sicuri, provvisti di accessi facili e comodi. Devo confessare però che io stesso, che non sono certo un tipo ardimentoso, ho provato a scalarne uno che appariva “abbordabile” anche ai miei poco allenati muscoli articolari. L’occasione era la solita, il pretesto tipico di ogni arrampicata: ammirare il panorama, meglio se al tramonto, e cercare lo scatto fotografico perfetto. Ho iniziato la scalata procedendo disinvoltamente, dritto, uno scalino alla volta; poi sono passato alla procedura a carponi, che consiglio vivamente nel caso gli scalini risultino danneggiati o sconnessi. In questo modo ho raggiunto e superato abbastanza disinvoltamente il primo livello del tempio. Mi sono fermato, ho scattato qualche foto, ho ripreso fiato e poi ho continuato la scalata.
Occhio alla discesa!
La mia esperienza si è interrotta alla seconda rampa di scale. Mi sono accorto che gli scalini, più si andava avanti più si riducevano. Il mio piedone nudo, ad un certo punto, non riusciva a coprire neppure la metà della superfice, rendendomi la scalata sempre più faticosa e pericolosa. Arrivato al secondo piano del tempio, ho capito che la faccenda si faceva estremamente complicata. Come se non bastasse, ha iniziato a piovere e la mia posizione è divenuta improvvisamente precaria. Sferzato dalle raffiche di pioggia e preoccupato di terminare l’avventura inzuppato fradicio, ho realizzato che dovevo scendere, e in fretta.
E’ stato in questo preciso istante che ho afferrato tutta l’insensatezza della situazione. Se salire è tuttosommato semplice, perché porti il baricento del tuo corpo in avanti e compensi la fatica, quando si tratta di scendere è tutt’altra operazione! Le scalinate di questi templi, infatti, sono talmente ripide e gli scalini talmente stretti che, vista da una certa altezza, la discesa sembra un dirupo sul nulla. Ripercorrere il tragitto come lo si era compiuto all’andata era fuori discussione: condizionato dall’ansia, avrei certamente messo un piede in fallo e sarei ruzzolato giù senza scampo. Ho risolto quindi per la soluzione più sicura, benché probabilmente la più ridicola: scendere a quattro zampe, utilizzando il sedere come perno nei punti più complicati. In questo modo, malgrado abbia sacrificato il mio bermuda preferito, che ne è uscito molto malandato, sono riuscito a tornare sulla terra ferma sano e in buona salute.