Bali e Lombok sulla carta geografica sembrano vicine, e lo sono davvero. Al primo sguardo spostarsi da un’isola all’altra appare un gioco da ragazzi, quasi un trasferimento breve che non comporta perdite di tempo eccessive. Eppure la scelta del tragitto ottimale non è così immediata come la distanza lascerebbe pensare. I collegamenti ci sono, senza dubbio, ma occorre fare attenzione ad alcuni aspetti prima di prendere un mezzo piuttosto che un altro.
Innanzitutto, esiste un collegamento aereo. Non scherzo, c’è davvero e il volo dura meno di mezzora. In pratica, il tempo di decollare e subito si scende per l’atterraggio. Lo offrono compagnie serie come Airasia e meno famose come LionAir. Molti turisti ricorrono all’aereo per questo spostamento, ritenendo – probabilmente a ragione – che in questo modo si azzerino molti tempi morti. Tutto giusto, per carità, ma a mio parere non è il modo adeguato per compiere questo trasferimento.
Andare da Bali a Lombok significa passare da un mondo ad un altro. Non tutti sanno che tra le due isole esiste un confine ben più profondo del braccio di mare che le separa. In fondo a questo stretto, infatti, passa una linea immaginaria, la linea di Wallace, che divide idealmente il continente Asiatico da quello Australiano, almeno in termini di biodiversità. Spostarsi da Bali a Lombok, quindi, significa trasferirsi dal vecchio al nuovissimo mondo, mettere un piede in Oceania, se non geograficamente almeno biologicamente. Volarci sopra può essere una buona idea, senz’altro; ma vuoi mettere il piacere di attraversare un braccio di mare di 35 chilometri scarsi al di là del quale ecco apparire un altro continente? E approdare in una terra che ha elementi non dissimili da quelli presenti in Nuova Guinea, Australia, perfino dalle mitiche isole dei Draghi?…
Non c’è assolutamente da avere alcun dubbio, date retta a me. Per questo abbiamo scelto il traghetto. E neppure quello veloce, con le alette davanti, stile aliscafo, che percorre lo stretto in poco più di mezzora. No davvero. Questo viaggio ce lo siamo voluti godere come si deve e abbiamo optato per il traghetto statale, quello più antico e scassato di tutti, che copre il percorso tra Padang Bai a Lembar (sarebbe il più breve, in teoria, tra le due isole) in “appena” 4 ore. Più il tempo necessario alle fasi di attracco, variabili a seconda del traffico che si incontra a Lombok.
Un viaggio nel viaggio, insomma. Che però ha riservato molte sorprese, alcune divertenti altre meno. Ma tutto all’insegna dell’avventura, che è poi il vero scopo per cui si viaggia… Il nostro traghetto, raggiunto e preso quasi al volo mentre stava per mollare gli ormeggi, era piuttosto affollato di turisti e autoctoni. La sala principale, l’unica con aria condizionata a palla, presentava una serie di file di poltrone come al cinema, poste di fronte a un banco che fungeva da bar. Quasi tutti i posti erano già occupati, anche da gente che si stendeva per dormire e ne occupava due o tre allo stesso tempo. E questo senza dar la minima impressione di preoccuparsi se altri rimanevano in piedi.
In questa sala, tuttavia, si accomodano le persone che hanno pagato un biglietto “normale”. Tutte le altre, che prima affollavano il molo, dove sono finite? Il traghetto in effetti ha altre zone in cui è possibile ospitare persone e mezzi di trasporto. Essendo strutturato su più ponti – un po’ come i traghetti che fanno la spola tra Messina e Villa San Giovanni – ci sono almeno due zone adibite a questo scopo. Il ponte scoperto, posto proprio sotto quello della hall principale, è un luogo davvero interessante. Io invito chi abbia l’opportunità di compiere questo viaggio di andarci a dare un’occhiata, possibilmente armato di macchina fotografica, perché ne vale la pena.
Distesi per terra, a gruppi di 4, 5, 10 persone – forse famiglie – bivaccano i passeggeri più poveri della nave. Si capisce al volo che non sono dello stesso ceto di quelli che ronfano di sopra. Le persone che si incontrano quaggiù, condannate a non aver diritto neppure a una sedia, esposti agli elementi, sono in gran parte contadini e piccoli commercianti che fanno la spola, ogni giorno, tra le due isole. Sono originari di Lombok, in maggioranza, e raggiungono i ricchi mercati di Bali per vendere le poche cose che producono e acquistare quei beni che nei loro villaggi sono praticamente introvabili.
Tra di essi emergono i bambini, sempre allegri e giocosi, che si rincorrono sul pianale e si divertono con poco, e bestie di ogni genere. Ebbene sì, in questo spiazzo è facile viaggiare insieme a galline, galli, maialini, a volte anche qualche vacca. I pennuti, in particolare, vengono trattenuti con delle cordicelle legate ad una zampa, cosa che non impedisce loro di starnazzare e tentare continuamente di prendere il volo. I loro padroni, spossati da una mattinata che deve essere cominciata molto di buon’ora, si accucciano su stuoie e sarong e dormono profondamente, incuranti dell’attività dei loro animali o di quella dei turisti, che li fotografano senza pietà.
Dopo 4 ore di lenta navigazione, ecco che il contorno confuso, appena accennato, della costa di Lombok inizia a prendere forma. E posso assicurare che si tratta della prima grande, reale emozione che si prova. La costa di Lembar, a sud dell’isola, è quanto di più selvatico si possa immaginare! Se avevamo un’idea di selvaggio, rustico, primitivo, siamo costretti a rivederla, e in fretta. Lombok appare dalla nave come una terra verdissima, ricca di vegetazione, deserta e silenziosa quanto Bali era invece affollata e rumorosa. L’ingresso nella baia di Lembar, inoltre, è spettacolare, perché da una parte e dall’altra si intravedono lagune, colline boscose, di quanto in quanto bufali d’acqua che placidamente si immergono nelle pozze e ruminano qualcosa.
Solo un lembo di terra sembra essere saldamente in mano all’uomo. E’ il molo, piuttosto piccolo in verità, dentro cui ferve un’attività che non definirei propriamente febbrile. Un ufficio scalcinato funge da dogana; qualche costruzione bassa e poco appariscente ospita la biglietteria e una specie di sala d’aspetto con annesso bar-ristorante. Tutto qui.
Una vola sbarcati, ci si dirige tutti in massa verso un ampio parcheggio in cui i tassisti aspettano come avoltoi di spolpare i potenziali clienti. Non c’è nè autobus nè altro a cui appigliarsi come alternativa. Se vuoi raggiungere la tua destinazione devi metterti il cuore in pace, farti approcciare da un tassista, reggere quanto più possibile alla contrattazione che segue, affidarti a lui per il lungo percorso che ti condurrà al tuo albergo. Insomma, sei arrivato nella selvaggia Lombok, è vero, ma ben presto torneai a fare tutte le cose che facevi quando stavi a Bali, niente di più, niente di meno.
Ma almeno avrai la soddisfazione di aver passato la linea di Wallace… ti pare poco?