Gli abitanti del lago Inle sono famosi in tutto il mondo per un sistema di pesca molto originale. Si tratta di una pratica presente solo qui, in questo minuscolo puntino del mondo. Che non è mai mutata di una virgola malgrado l’avvento del progresso. Sul lago Inle si perpetua da millenni un sistema di pesca acrobatica che ancora oggi soprende e affascina tutti coloro che hanno la fortuna di assistervi. E che pone inevitabili domande su come sia possibile continuare a praticare certe tradizioni quando sembrano decisamente pericolose, sorpassate, scarsamente produttive… O forse sono questi i motivi del loro successo?
Per dirla breve, la pesca acrobatica sul lago Inle consiste in questo: il pescatore si colloca in piedi alla prua della sua stretta e lunga imbarcazione. L’unico modo che ha di governarla è agire sul remo “avviluppandolo” tra la gamba e il piede. Ciò gli consente di mantenere libere entrambi le mani, indispensabili per gettare e ritirare la rete in acqua. Questa operazione si compie infinite volte durante la sessione di pesca; con il piede riesce a vogare e allo stesso tempo tenersi in precario equilibrio, e vederlo compiere tale operazione è qualcosa che lascia senza fiato.
A volte i pescatori applicano una strategia comune che tende a massimizzare il risultato con il minimo della fatica. Le barche predisposte alla pesca si dispongono una accanto all’altra, come appare nella foto principale di questo articolo, mentre un paio di altre imbarcazioni vanno avanti per stanare i pesci e costringerli a radunarsi dove è più semplice acchiapparli. Questo compito richiede una ulteriore manifestazione di equilibrio, perché costringe il pescatore a percuotere con forza l’acqua con una pertica di bambù piuttosto lunga (e pesante). Come ci riesce, senza mai cadere in acqua, è un altro mistero…
L’aspetto sorprendente di questa pesca acrobatica sta proprio nella struttura delle barche utilizzate. Rispetto a quelle viste al mercato – e quindi presumibilmente adibite al trasporto di cose e persone – sono molto più strette e minute. Appaiono decisamente più pesanti a poppa, disegnata unicamente per fare da contenitore di reti, sacchi, zavorre e quanto serva all’attività della pesca. Squadrata e rialzata, questa poppa contiene qualche volta un vistoso box di vimini intrecciati destinato a conservare le catture. L’unico modo per non sbilanciare la barca sembra essere quello di restare in piedi proprio sull’estremità più distante, cioè a prua, in bilico sull’acqua. Un solo passo indietro farebbe pericolosamente innalzare la prua e – forse – affondare la barca.
Quando terminano di pescare, i proprietari raggiungono il centro della barca nell’unico modo possibile: ossia inginocchiandosi e procedendo a carponi. Solo in questo modo, infatti, è possibile non pregiudicare la sicurezza dell’uomo e, cosa ancora più importante, del pescato. Che poi viene trasportato nei villaggi e trasformato per il consumo o la vendita al mercato.
L’interrogativo, quindi, sorge spontaneo: perché gli abitanti del lago Inle continuano a pescare in questo modo? Sul lago ormai si vedono barche decisamente più moderne, equipaggiate con moderni e potentissimi motori cinesi, molto più stabili e sopratutto capienti delle imbarcazioni tradizionali. Sarebbe più facile raggiungere i luoghi di pesca e molto meno faticoso dedicarsi a tutte le operazioni necessarie. Eppure i pescatori locali non hanno abbandonato il loro metodo. Sarà precario, certo, e anche molto meno produttivo di tanti altri; sicuramente pericoloso, perché il tuffo in acqua è sempre dietro l’angolo; senza dubbio faticoso, perché governare un remo con un piede sarebbe già problematico per una scimmia, figuriamoci per un uomo.
Tutto questo non ha senso, quindi, se non per un’unica ragione fondamentale: è la loro vita, la loro cultura, la loro storia. Ciò che compiono ogni giorno oggi è stato compiuto dai loro padri, dai nonni, dagli antenati ieri. Sempre uguale a se stesso, rassicurante, routinario. E’ questo il significato più profondo delle tradizioni, in fin dei conti: rappresentano un involucro protettivo fatto di gesti, orari, frasi, racconti, pratiche minute in cui tutti si trovano a proprio agio, ieri come oggi, nell’epoca dei cellulari. Che – tra parentesi – quaggiù non prendono quasi mai…