La Piramide Rossa è probabilmente la piramide meno visitata d’Egitto. Non riesco a capire perché, sinceramente. Delle tante in circolazione è sicuramente quella che si presenta meglio, grazie ad un aspetto generale che definirei florido, se si esclude un profondo squarcio su uno dei suoi lati. Si erge isolata in una grande pianura assolata e polverosa, in pieno deserto, vicino ad un campo militare – e forse è per questo che non viene inserita volentieri nei tour turistici (visto i tempi che corrono in Egitto…).
Insomma, non ci sono motivi apparenti per non visitare la Piramide Rossa, magari abbinandola ad una escursione al ben più celebre complesso di Saqqara, la cui enorme piramide a gradoni è perfettamente visibile anche da qui.
Fin da quando ho messo piede in Egitto ho sempre pensato che prima o poi avrei visitato l’interno di una Piramide. Era una delle mie priorità, lo confesso. Ero fermamente convinto che solo addentrandomi all’interno di questi antichissimi monumenti avrei assaporato l’esperienza definitiva, la più completa, dell’antico Egitto. Ero suggestionato da visioni, letture, immagini relative ad esplorazioni – più o meno avventurose – di antiche tombe egizie. Non vedevo l’ora di immergermi, da un punto di vista meramente turistico, in una esperienza simile.
Ebbene, a Giza non ho avuto l’opportunità di entrare nelle viscere di una piramide. Le tre piramidi più famose d’Egitto, infatti, proprio quel giorno erano chiuse al pubblico, ognuna per un motivo diverso. Profondamente deluso ho pensato di recuperare visitando la piramide di Zoser, a Saqqara, ma anche lì ho trovato l’ingresso sbarrato, causa pericolosi lavori di ristrutturazione (mi risulta ancora in corso…). Non restava che l’ultima piramide rimasta, la più insignificante del lotto, almeno sulla carta, quella che nessun turista va a visitare: la Piramide Rossa, appunto. L’unica, fortunatamente, ancora aperta alla visita del suo interno.
Quando siamo arrivati nell’ampio spiazzale antistante il monumento, ci siamo accorti che eravamo praticamente gli unici turisti presenti. Solo una macchina era parcheggiata vicina alla nostra. Per il resto, c’era solo il deserto tutto intorno a noi. Il nostro autista ci ha indicato, piuttosto scorbuticamente, il sentiero che conduceva alla scala, e subito è rientrato all’interno dell’abitacolo, al fresco. Evidentemente non reputava suo compito quello di accompagnarci almeno fino all’ingresso della costruzione. Pazienza, mi sono detto, e con mia moglie ci siamo subito incamminati verso la grande Piramide Rossa.
Arrivati alla fine del vialetto ci è toccato arrampicarci su una scaletta per metà in metallo e per l’altra in pietra che conduceva all’ingresso vero e proprio della piramide, posto più o meno a metà altezza della stessa. Un’arrampicata che, sotto il sole implacabile di giugno, ha ridotto al lumicino le forze mie e soprattutto di Paola. Giunti in cima, trafelati e ansimanti, neppure avessimo scalato il K2, ci siamo trovati di fronte un vecchio rugoso abbigliato in perfetto stile beduino, che ci sorrideva e offriva dell’acqua fresca. Era il guardiano della piramide, a quanto abbiamo appreso, e anche l’unico autorizzato ad emettere biglietti e consentire l’ingresso.
L’entrata non era altro che un condotto, non più alto di un metro e poco più largo, che s’inoltrava in ripida discesa verso l’interno della costruzione. Mia moglie ha guardato giù e ha realizzato che non ce l’avrebbe mai fatta. Il cunicolo, oltre ad essere stretto, sembrava anche piuttosto lungo, tanto da non lasciare intravedere alcunché dopo qualche decina di metri. Non c’è stato verso di convincerla. Ed io, un po’ di malavoglia ma fermamente deciso a non buttare all’aria quell’unica occasione, ho deciso di andare da solo. Ho lasciato mia moglie in balia dello sdentato beduino, così generoso di sorrisi quanto severo nell’esigere il mio obolo prima di intrufolarmi all’interno della Piramide. Mi ha dato una pacca sulle spalle. Gesto che mi ha definitivamente convinto che stavo per compiere una grossa sciocchezza…
La discesa negli inferi si è svolta lentamente e con mille cautele. Il condotto era particolarmente angusto, devo dire, e mi consentiva appena di strisciare sul fondoschiena facendo leva su braccia e gambe. Il pavimento era in legno, disseminato di tasselli disposti longitudinalmente tali da permettere una maggiore presa e azzerare il rischio di scivolare. Lungo le pareti erano disposti due lunghissimi corrimano, quanto mai utili quando il percorso si sarebbe svolto al contrario, cioè in salita. Ogni 6-7 metri, infine, l’ambiente era illuminato da alcuni neon, ma questo solo a una certa distanza dall’entrata (ecco perché mi era sembrato tutto molto buio).
Muovendomi come un ragno, un passo alla volta, sono arrivato in fondo al cunicolo, dove si apriva un primo grande ambiente sotterraneo (quello illustrato nell’immagine numero 1). Il soffitto era altissimo e non se ne vedeva la fine. Si andava a stringere progressivamente, secondo uno schema a strati sempre più convergenti, rivelando una perizia costruttiva che mi ha lasciato senza parole. Ogni pietra, infatti, era collocata esattamente nel posto giusto; non una fessura o una imperfezione era visibile. Era possibile fare la “prova della carta di credito”, ovvero tentare di inserire una carta fra le intersezioni dei blocchi, e posso assicurare che non sarebbe mai riuscita a entrare.
Infilandomi carponi nel buco che si vede sopra, eseguendo poi una deviazione a 90° verso destra, mi si è parato davanti il baratro. Davanti a me, infatti, si apriva un’altra enorme camera del tutto simile alla precedente, ma disposta questa volta almeno 10 metri più in basso. La fioca illuminazione dei neon, disposti un po’ a casaccio, lasciavano intravedere a malapena una parte del soffitto e le prime scale di legno che conducevano verso il basso.
La complessità di questa struttura mi è stata più chiara quando finalmente, dopo aver vinto le ultime insicurezze, sono sceso giù. Ciò che ho visto è quanto viene mostrato nella foto 2. Un ambiente sempre più oscuro, oppressivo, ovattato, in cui ogni mio movimento produceva un lieve rimbombo che in quella situazione, solo e isolato a 30 metri sotto terra, mi procurava un po’ d’ansia…
L’impalcatura, devo dire, non era proprio nelle condizioni da garantire una discesa (e relativa risalita) in assoluta sicurezza. Cigolava, ogni tanto ondeggiava pure e qualche scalino non pareva proprio fissato ad arte. Ma una volta che mi trovavo laggiù non potevo che continuare ad andare avanti. Lontano, distorte da un’eco un tantino sinistra, ho avvertito quelle che mi sono sembrate delle voci umane. Era una coppia di americani che stavano iniziando la discesa all’interno della Piramide Rossa; li avrei incrociati al ritorno in prossimità della prima camera.
Oltre non si andava. Il sancta santorum finale, infatti, era inagibile. L’ultima camera, dove probabilmente era stato collocato il sarcofago del faraone, risultava crollata in più punti; poteva essere osservata solo dall’alto e le transenne impedivano qualsiasi spostamento ulteriore. Ho capito pertanto che avevo raggiunto la meta finale. Non mi restava altro che tornare indietro, rifacendo il percorso a ritroso.
Come sempre accade in queste situazioni, l’aspetto psicologico stravolge ogni cosa. Tutto ciò che all’andata mi era parso difficile, incerto, pauroso adesso sembrava facile, agibile, familiare. Ogni passo precedente, che mi aveva fatto penare e che avevo compiuto dopo mille ripensamenti, adesso non mi procurava più la minima preoccupazione.
E’ quindi comprensibile che abbia affrontato il ritorno in modo più rapido e spensierato. Anche l’ultima salita lungo il cunicolo non mi ha procurato soverchi disagi. Dovendolo percorrere a quattro zampe, ma questa volta ventre a terra, mi è sembrato persino meno faticoso. All’uscita ho ritrovato il beduino-guardiano; mi ha di nuovo onorato di un sorrisone sgangherato che ho apprezzato moltissimo, quasi fosse una manifestazione di stima per l’impresa appena compiuta.
Mia moglie mi aspettava in preda ad una certa ansia. La mia avventura non era durata più di un’ora ma per lei, rimasta lassù in balia del sole e degli sguardi indagatori del vecchio guardiano, era passata quasi un’eternità. Non ne poteva più e subito si è precipitata giù per raggiungere l’aria condizionata della nostra auto. Io sono rimasto un po’ a osservare il panorama – e a riprendere fiato. La foto sopra mostra la visuale che avevo davanti: in lontananza, oltre il campo militare, si vede la grande piramide a gradoni di Saqqara. E tutte le altre piramidi, più piccole e decisamente meno celebri, che rendono questo panorama unico al mondo.