La follia dei potenti a volte non ha limiti. Specie quando si tratta di imporre simboli che hanno lo scopo di puntellare, consolidare, rafforzare il nuovo corso. E’ un atteggiamento comune a molti governi, dettato dalla necessità di lasciare qualcosa che venga ricordato per sempre. Questo desiderio di eternità trova sfogo nella creazione di enormi infrastrutture, a volte decisamente faraoniche, spesso inutili. Ma nulla è in grado di competere in termini di fama e gloria con la costruzione di una nuova città. E se questa nuova città è destinata ad essere la nuova capitale di una nazione, allora l’impresa diventa epica.
Devono averla pensata così, su per giù, i militari della giunta birmana nel lontano 2005, quando hanno deciso che la nuova capitale del Myanmar, Naypyidaw, avrebbe soppiantato l’antica Rangoon (Yangon) e sarebbe sorta in un luogo sperduto al centro del paese (luogo più facilmente difendibile dalla sempre paventata invasione di un paese straniero). Seguendo le previsioni di astrologhi e maghi, incuranti del fatto che la zona, da tempo, era infestata dalla malaria e non aveva bacini idrici sufficienti, i potenti di allora decisero di costruire la più grande capitale del mondo, un modello di urbanistica e di efficienza, il fiore all’occhiello della nuova Birmania.
Una città di impiegati
Per essere originale, urbanisticamente parlando, Naypyidaw lo è davvero. Non ci sono palazzi, quartieri, sobborghi, piazze e altre strutture che fanno pensare ad una città. L’area coinvolta, infatti, è 10 volte più grande di quella di New York, ma la distribuzione dei caseggiati è così diradata, polverizzata che in alcuni punti è difficile persino vedere un palazzo. Per chilometri e chilometri tutto ciò che si osserva sono campi di erba accuratamente rasata e collinette adibite a giardini pubblici, caratterizzate da siepi di molteplici colori e qualche giovane albero.
I quartieri veri e propri sono degli enormi agglomerati di palazzine circondati da un muro che le separa dal resto della città. Gli edifici sono stati costruiti tutti uguali a secondo del blocco di appartenenza: 3 o 4 piani, struttura a balconi, tetto dello stesso colore. Ed è questa la caratteristica più bizzarra della nuova capitale. Le case sono di colori diversi a seconda del tipo di mansione governativa che ricopre chi le occupa. Perché a Naypyidaw ci abitano solo impiegati del governo, tanto per capirci. Chiunque non lo sia qui non può vivere. Ma non tutte le case sono uguali. Ci sono abitazioni per dirigenti, per funzionari e per semplici impiegati. La mobilità sociale, dunque, oltre alle promozioni si manifesta cambiando abitazione. Si parte da quelle più periferiche e con meno confort, si arriva ai blocchi del centro che assicurano case più comode ed efficienti.
Per il resto, è il deserto. I locali pubblici ci sarebbero, ma io, in 20 minuti di veloce attraversamento non ne ho avvistato neppure uno. La città non appare troppo vivace, da un punto di vista prettamente economico, dato che non ho visto neanche mercati o attività industriali. Il traffico, peraltro, è praticamente inesistente. In alcune zone sembra addirittura di guidare su piste per il decollo degli aerei, tanto è improbabile incontrare un altro mezzo a quattro ruote.