Sembra che agosto in Sri Lanka sia il mese più propizio per congiungere persone e rispettive famiglie in matrimonio. Nel corso del mio viaggio, infatti, ho incrociato numerose cerimonie del genere, alcune appena intraviste, altre più da vicino. Come il matrimonio tamil in cui mi sono “imbucato” a Matale.
Ecco come è andata. Girando per il famoso tempio omonimo di cui ho già parlato, sono sbucato in un ampio cortile da cui proveniva la musica di una fanfara sgangherata. Incuriosito, ho aguzzato le orecchie e mi sono incamminato verso il luogo del frastuono. Che era un edificio ampio e basso, una specie di teatro con un grande palco sopraelevato e numerose file di poltrone. Era occupato da alcune decine di persone, tutti tamil in abiti da cerimonia, in attesa di qualcosa di speciale. All’ingresso un paio di giovani gestivano gli inviti. Chiunque volesse partecipare sembrava tenuto a versare del denaro, cosa che tutti facevano senza battere ciglio.
Incuriosito e allo stesso tempo intimorito, mi sono avvicinato all’entrata, con atteggiamento falsamente noncurante. I due giovani non si sono scomposti di un millimetro, quindi ho provato a sorpassare la linea virtuale che divideva l’esterno dall’area cerimoniale. Neppure in questo caso ho ottenuto alcuna reazione. Anzi, voltandomi indietro per incitare mia moglie a fare lo stesso, ho incrociato lo sguardo di uno dei due esattori. In cambio ho ricevuto un ampio sorriso a 32 denti bianchissimi che mi ha rinfrancato e rassenerato non poco. In sostanza, ci stavano dando il via libera: potevamo entrare e assistere alla cerimonia. E non ce lo siamo fatti ripetere due volte, naturalmente!…
Come ho detto, si trattava di un matrimonio, e a quanto ho intuito, un “grosso e grasso” matrimonio tamil. Le vesti degli invitati e i loro gioielli parlavano chiaro. La stessa sposa, che attendeva ad un lato della sala, circondata dalle sue damigelle, era vestita in modo ricco e vistoso, denotando una estrazione sociale più che onorevole. Aspettava un segnale dal palco per entrare pomposamente in scena. Sul palco, in cui formicolavano innumerevoli individui addetti alle luci, alla musica, all’organizzazione dell’evento, si intravedeva un tipo grassoccio e impacciato, imbragato in un vestito da cerimonia di raso. Nessuno badava a lui, e per questo appariva leggermente contrariato.
Improvvisamente, la musica ha preso decisamente una piega trionfalistica e tutte le persone si sono girate di scatto verso l’angolo in cui era parcheggiata la sposa. Che si è messa in cammino, seguita dal suo codazzo di damigelle, raggiungendo finalmente il palco, dove è stata accolta da quelli che ho ritenuto i genitori dello sposo. E qui ho assistito a quello che sembrava un rito standard. La sposa si è inginocchiata davanti ai futuri suoceri e ha iniziato a cospargere i piedi del padre con fiori e acqua. Poi è passata a effettuare la stessa operazione con i piedi della suocera la quale, però, è subito intervenuta per impedirle di andare oltre, invitandola con un gesto gentile e perentorio allo stesso tempo a rialzarsi. Il tutto, sotto gli occhi impassibili dei genitori della ragazza.
Ogni momento, anche minimo, di questa scena sembrava essere stata preparata alla perfezione in ogni sua singola fase. Ho infatti notato che la ragazza ha iniziato a sollevarsi molto prima che la suocera la invitasse a farlo. In sostanza, ho pensato, si trattava di un rito di trasferimento da una casa all’altra. La donna, infatti, con il matrimonio passava dalla casa dei genitori a quella dei suoceri. Lavare i piedi al padre, quindi, era un gesto dovuto di rispetto e di sottomissione. Lavarli alla suocera, invece, era ritenuto superfluo, o quasi.
Terminato questo rituale, la sposa è andata a sedersi accanto al marito, nella posizione in cui è ritratta nella foto di questo articolo. I due non si sono neppure guardati un momento! Lui, sopratutto, è sembrato ancora più imbarazzato e confuso di prima, ora che aveva al suo fianco la donna che stava per sposare. Ma a loro due non badava più nessuno. L’attenzione generale era calamitata da ciò che stava avvenendo nella parte sinistra del palco. I due padri, infatti, si erano appena accovacciati davanti ad un piatto argentato, posato per terra, e guardavano ansiosi e truci i gesti di un santone, posizionato in mezzo a loro.
Ho interpretato quella scena come il momento legale in cui le promesse si tramutavano in una unione effettiva. Davanti all’autorità di un religioso, circondati dai parenti, di fronte a tutta la comunità, i due signori stavano mettendo a punto gli ultimi dettagli del contratto matrimoniale, che come tutti i contratti prevedeva lo scambio di una merce in cambio di denaro, o altra merce equivalente. In definitiva, di questo si trattava. La merce in questione probabilmente era la giovane donna, “venduta” alla famiglia del marito in cambio di una dote. Il santone garantiva la validità del contratto e (in quealche modo) la benediceva.
Non abbiamo aspettato la fine della cerimonia, ed è stato francamente un peccato. Ma la nostra tabella di marcia ci imponeva di tornare al minivan e continuare la strada che ci avrebbe condotto nel centro del “triangolo culturale” di Sri Lanka.