Questo è il resoconto, spero interessante, di come si svolge un matrimonio in Cina tra uno straniero e una autoctona. Lo straniero in questione è il mio amico Guido. Parliamo ovviamente di un matrimonio civile, l’unico che abbia validità in un paese che almeno formalmente si dichiara laico e comunista. Nondimeno, è un rito che i cinesi sopportano appena. E’ ritenuto necessario, certo, perché stabilisce uno status legalmente riconosciuto. Ma dal punto di vista sociale, non è l’evento più importante, quello a cui i cinesi dedicano sogni, tempo, risorse e passione. Esiste un altro tipo di matrimonio cui i cinesi tengono di più. E negli articoli seguenti penso di poterne dare un’idea piuttosto completa.
Per adesso, concentriamoci sul rito civile.
Al nostro arrivo a Nanchang, capitale della provincia dello Jiangxi, abbiamo conosciuto le due più care cugine di Suzhan, che in regime di figlio unico equivalgono, in Cina, a vere e proprie sorelle. Si chiamano Zheng Wen (nella foto quella in mezzo) e Zhan Jian Yue. La prima, alta, snella, piuttosto belloccia, era stata incaricata dalla famiglia di scarrozzarci sulla nuovissima e fiammante Chevrolet, un Suv acquistato proprio per l’occasione. La seconda, bassina, grassottella, occhialuta e dall’espressione molto intelligente, era una studentessa di scienze dello sport a Pechino, l’unica tra l’altro in grado di snocciolare qualche parola in inglese. Le due tipe ci hanno immediatamente preso sotto la loro ala protettiva e non ci hanno mollato mai un istante.
Per inciso – e per avvalorare quanto affermavo prima a proposito della scarsa importanza che i cinesi danno al matrimonio civile – non erano presenti i genitori di Suzhan. Loro erano rimasti nel paese natale, Ruichang, per organizzare l’evento del giorno dopo, quello che nella considerazione generale era l’unica, vera, autentica cerimonia di nozze. Quindi non avrebbero assistito al rito civile.
Dicevo quindi che la prima tappa era l’ufficio dei matrimoni tra stranieri e cinesi di Nanchang. Trovato l’edificio dopo interminabili giri, ci siamo recati in una ampia stanza arredata piuttosto burocraticamente. Un senso di precarietà pervadeva l’ambiente. Il via vai di impiegati che spostavano mensole, armadi, tavoli e sedie mi ha dato infatti la netta sensazione che la sezione fosse stata appena inaugurata. Gli sportelli erano solo tre, costituiti da un tavolo e due sedie innanzi, divisi da un pannello di vetro opacizzato. Un paio di manifesti in doppia lingua – cinese e inglese – affissi sulle pareti, indicavano la lista dei documenti necessari e gli oneri dovuti.
Due paffute signore abbigliate con un pesante cappottone rosso erano gli unici impiegati presenti. Una di esse ci ha accolto senza mostrare alcun segno di empatia o di entusiasmo. Con un gesto che non ammetteva repliche, ha invitato Guido e Suzhan a prendere posto di fronte a lei e a visionare alcuni documenti. Noi siamo rimasti in piedi, dato che le sedie disponibili erano solo due, e solo per gli sposi. Evidentemente non era prevista la presenza di più persone oltre quelle direttamente interessate alla cosa…
Come si evince dall’immagine di questo articolo, non c’era l’ombra di un termosifone funzionante. Il freddo ci intirizziva le membra, acutizzato ulteriormente dalla forzata immobilità alla quale eravamo costretti. Se non fosse stato per la curiosità di assistere ad una cerimonia più unica che rara, me ne sarei andato certamente a fare una passeggiata fuori. Ma oramai eravamo in ballo e dovevamo ballare. Poco prima che iniziasse la cerimonia, un benevolo inserviente ha portato una sedia alla madre di Guido, e almeno lei è riuscita a riposarsi un pochino.
Le fasi del rito civile cinese
La prima fase del rito prevedeva il riconoscimento legale dei due convenuti. Esibiti i documenti personali, l’impiegata li ha visionati molto scrupolosamente, si è appuntata qualcosa in un foglio, poi li ha messi con cura da parte. Fatto ciò, si è passati alla fase successiva, la più importante, ovvero la reciproca accettazione di ciascun coniuge.
Questo atto, fondamentale, si svolge a sua volta in due momenti successivi. In primo luogo, ciascun coniuge deve scrivere su un modulo le generalità dell’altro. Come si chiama, quanti anni ha, come si chiamano i genitori, dove abita, ecc.. Poi deve rileggere il documento, partendo dalle righe appena compilate, e seguire pedissequamente una serie di paragrafi che in sostanza tendono a dimostrare che egli sa tutto del coniuge, difetti e malattie comprese, e quindi che lo accetta così com’è come marito (o moglie). In pratica, è l’equivalente del nostro “lo voglio”. Il tutto a voce alta, in modo che possa essere ascoltato dall’ufficiale addetto – che però non mostra il minimo interesse alla cosa.
Questa fase, nel caso di Guido e Suzhan. si è protratta oltre i tempi previsti. Guido, sopratutto, è stato costretto a leggere in cinese righe e righe di un documento che, a quanto sembrava, era scritto in un linguaggio astruso e poco utilizzato nella vita reale. Procedeva a scatti, si interrompeva spesso e qualche volta sbagliava la pronuncia esatta (probabilmente dicendo qualche altra parola invece che quella scritta sul documento). Meno male che l’impiegata ha permesso a Suzhan di intervenire per correggere il futuro marito e qualche volta perfino di accompagnarlo nella lettura, che verso la fine è proceduta spudoratamente a due voci.
Finito questo rituale, necessario, la funzionaria ha invitato i due coniugi a firmare un paio di fogli che aveva davanti. E qui è finito tutto. Se non fosse stato per l’impercettibile sorriso che ella ha sfoderato e per l’immediato applauso che ne è seguito da parte delle cugine, non avremmo mai indovinato che la cerimonia era terminata! Per i cinesi almeno. Per gli italiani presenti, non ancora. Per noi rimaneva l’ultima appendice, anch’essa altrettanto necessaria, cioè lo scambio degli anelli. Atto che è stato compiuto piuttosto frettolosamente, con qualche imbarazzo, sopratutto da parte dei cinesi presenti, compresi quelli di altri matrimoni che si svolgevano agli sportelli accanto. Evidentemente i cinesi non usano scambiarsi l’anello, anche se, ho notato, alcuni lo portano all’anulare proprio come avviene da noi.
Cerimonia finita, quindi? Non ancora. Per rendere ufficiale e definitiva l’unione, lo stato cinese emette un particolare documento che attesta l’avvenuto matrimonio. Si tratta di un libretto rosso, personale, tipo un nostro passaporto, che per essere in regola deve mostrare la foto del coniuge e il visto di un funzionario di più alto rango. Il che significa che occorre attendere ancora un paio di ore prima di ottenerlo. Le foto vengono prese direttamente in sede, in una saletta piuttosto oscura che assomiglia a quella di un oculista. I due novelli sposi di dispongono a turno davanti ad un telo chiaro e una giovane impiegata fa loro le foto con una semplicissima macchinetta compatta Olimpus.
Il libretto rosso si ottiene dopo che è oppurtunamente vidimato. Viene offerto agli sposi all’interno di una custodia anch’essa rossa decorata con nastri dorati e figure da fumetti manga giapponesi. E’ un certificato di matrimonio a tutti gli effetti, quindi è bene tenerselo stretto… almeno finché il matrimonio dura, ovviamente.