La prima volta che si cammina per una strada birmana può essere una esperienza scioccante. Dappertutto si vedono innumerevoli macchie rosse sul terreno. Viene subito da pensare se c’è stato qualche spargimento di sangue causato da una violenta rivolta di strada. Considerata la storia del paese, non sarebbe neppure da escludere. Dopo alcuni momenti di disorientamento si capisce tutto verificando da dove provengono quelle macchie rosse: un signore ha masticato qualcosa per un bel po’ di tempo e ora si volta dall’altra parte e sputa un enorme carico di saliva rossa per terra. Ecco spiegato l’arcano: siano di fronte a uno dei milioni di masticatori di betel in Myanmar.
La masticazione del betel, conosciuto localmente come “kun-ya,” è una pratica diffusa e radicata nella cultura del paese. Questo antico rito coinvolge l’uso di foglie di betel avvolte intorno a noci di areca e altri ingredienti. Masticare betel è una tradizione sociale, cerimoniale e quotidiana, che presenta sia aspetti culturali significativi sia implicazioni sanitarie rilevanti. Studi recenti, infatti, hanno dimostrato che masticare betel può causare vari problemi di salute orale, tra cui macchie sui denti, malattie gengivali e un aumento del rischio di cancro orale a causa delle proprietà cancerogene della noce di areca e degli additivi.
I consumatori di betel, in effetti, si riconoscono al primo sguardo. Basta un sorriso per rivelare questa curiosa abitudine. Il betel, una volta masticato, rilascia una sostanza dal colore rosso vivo che, col tempo, finisce per macchiare indelebilmente i denti (oltre che, probabilmente, a cariarli). Ciò produce un vasto campionario di bocche rovinate e sgangherate, dove i denti a volte sono ridotti a meri spezzoni e le gengive sono così rosse da lasciare sconcertati. E’ una visione – devo confessare – che produce disgusto, ma in Myanmar è bene farci l’abitudine, perché di questi spettacoli ne vedremo parecchi. E’ come se ci trovassimo di fronte a dei vampiri che hanno appena finito di succhiare il sangue a qualche malcapitato…
I venditori di betel, almeno nel 2011, erano dappertutto. Si trattava in realtà di piccoli esercizi da strada, semplici banchetti gestiti da uomini e donne che, invariabilmente, masticavano betel a loro volta. Il prodotto non è altro che una foglia di betel su cui viene spalmata una pasta di calce idrata (idrossido di calcio) che aiuta a liberare gli alcaloidi attivi della noce di areca. La noce in questione può presentarsi in pezzi o macinata. A seconda delle preferenze regionali e personali, possono essere aggiunti altri ingredienti come tabacco, cardamomo, chiodi di garofano, anice o dolcificanti. Il tutto viene poi racchiuso all’interno della foglia e “confezionato” in forma di fagottino (“betel quid“). L’acquirente lo ingurgita intero e inizia a masticarlo come un chewingum. Ogni tanto, quando la salivazione diventa abbondante, sputa il sovrappiù a terra, e così si spiegano le numerose macchie rosse che si vedono dappertutto.
Già all’epoca del mio viaggio, e a maggior ragione oggi, il governo e le istituzioni birmane cercavano di limitare il consumo di questa sostanza a causa delle implicazioni per la salute. Numerosi cartelli ammonivano sui rischi di malattie, anche gravi, per bocca e denti. Ma non era solo un problema di salute. C’era anche una questione di decoro urbano, per così dire. Le macchie rosse raggiungevano in certi punti una densità tale da alterare il colore originale di muri, pavimentazioni, barriere, marciapiedi… Per impedire tale pratica si arrivava al punto di disegnare figure sacre per terra così da disincentivare l’atto, considerato sacrilego. Molti esercizi commerciali riuscivano così a tenere reltivamente puliti gli ingressi dei loro locali.
Detto ciò, è indubbio che masticare il betel, in Myanmar, sia una tradizione culturale quasi impossibile da sradicare. Il betel ha un ruolo importante in molte cerimonie e rituali, come matrimoni, occasioni religiose e feste tradizionali. È spesso usato come offerta agli dei e agli antenati. Tuttavia, negli ultimi tempi si assiste a un sempre maggiore distacco da questa pratica da parte delle generazioni più giovani, più attente probabilmente alle implicazioni estetiche che alle conseguenze negative sulla salute. Il consumo di betel quid resta quindi relegato alle persone più anziane che vivono prevalentemente nelle campagne. Dove le macchie rosse sono sicuramente meno individuabili…