Non c’è niente da dire, ma a Shangri-La l’atmosfera che si respira è tibetana. Al cento per cento. I volti della gente, i loro costumi, il cibo, l’odore di legno aromatizzato, i rumori soffusi, l’aria rarefatta… se non fosse per le scritte in doppia lingua sembrerebbe quasi di non trovarsi più in Cina!
Atmosfera significa tradizione, storia, cultura. Tutto ciò che un popolo può rivendicare come proprio e che in genere cerca di difendere strenuamente dalle ingerenze esterne. Nel caso delle comunità tibetane dello Yunnan, la difesa della propria identità non è una questione politica – nessuno mette in discussione l’appartenenza alla Cina – ma semplicemente culturale. Significa, come avviene in qualsiasi parte del mondo, mantenere in vita e conservare per i posteri le proprie tradizioni più antiche e viscerali, quelle più a rischio di sparire perché travolte dall’ondata di modernizzazione che proviene da Est.
La danza comunitaria è una di queste tradizioni. Non si tratta di una prerogativa di Shangri-La, ovviamente; in un altro articolo ho già raccontato le danze Naxi di Lijiang. Come succede al sud, infatti, le danze sono un momento di aggregazione, di svago, di coinvolgimento dei turisti ma anche – e sopratutto – il modo di riaffermare la propria identità collettiva. Per questo, oltre che nelle piazze, le danze tibetane a Shangri-La vengono eseguite anche in molti luoghi meno spaziosi, come i centri culturali o le case private, e qui vengono anche insegnate ai bambini.
Ma in che consiste una danza tibetana e in che cosa differisce da quella che, ad esempio, viene praticata a Lijiang? Tutte e due si svolgono in circolo e, se la partecipazione è eccessiva, in circoli concentrici. Le somiglianze, però, finiscono qui. La prima difformità evidente – almeno a me così è parsa – è il senso di marcia. Per le danze Naxi si procede in senso antiorario; le danze tibetane, rigogorosamente fedeli al precetto buddista, vanno invece in senso orario.
La seconda differenza sta nelle regole della danza vera e propria: i passi, i movimenti, il contatto o meno tra i partecipanti, ecc.. Le danze Naxi sono più composte, rigide, non prevedono movimenti delle braccia se non quelli a martello verso il basso. Le danze tibetane, al contrario, sembrano concedere più libertà di movimento. I partecipanti, a seconda della musica, si esibiscono in saltelli, scatti delle gambe avanti e indietro, movimenti dei piedi tipo punta-tacco da ballerino classico. Le braccia si muovono di conseguenza, compiendo ampi movimenti rotatori e restando quasi sempre staccate dal corpo. Le danze tibetane, insomma, sono leggermente più coreografiche e appaiono per così dire meno “tribali” di quelle praticate al sud.
L’ultima differenza è la mancanza totale di contatto tra i danzatori. I Naxi quasi sempre procedono compatti tenendosi per mano, a volte a stretto contatto di spalla. I tibetani invece fluttuano leggiadramente uno accanto all’altro senza mai superare la distanza di sicurezza virtuale dei rispettivi corpi, quella necessaria cioè per evitare inciampi, scontri o deragliamenti. Mantenere tale distanza non è per niente facile, basta guardare quello che combinano i turisti cinesi quando decidono di partecipare al cerchio danzante. Iniziano a scontrarsi, pestarsi i piedi a vicenda, darsi manate e schiaffoni, perdere il ritmo e sovente anche il passo…
La danza è dunque un valore da preservare e, possibilmente, da insegnare alle nuove generazioni. Quelle dello smartphone e delle scarpe firmate, per intenderci, che anche qui, come altrove, sono oramai omologate in tutto e per tutto. Questo tentativo viene compiuto da molte istituzioni sia pubbliche che private, alcune sovvenzionate anche dal governo cinese, tramite la costituzione di centri per l’insegnamento della cultura tibetana. Noi ne abbiamo visitato uno, il più vicino al centro naturalmente, che ci ha regalato momenti istruttivi e allo stesso tempo pieni di divertimento.
Quando ci siamo avvicinati, furtivi e un po’ timorosi, all’ingresso del centro, non sapevamo come ci avrebbero accolti. Non era un luogo per turisti, questo era evidente; ci sembrava di profanare un luogo esclusivo, sacro. Tuttavia ci siamo accorti ben presto che, anche se fossimo stati dei bisonti in pieno galoppo, nessuno si sarebbe accorto di noi. Ogni attenzione era infatti rivolta ad un gruppo di ragazze adolescenti che ballavano in cerchio e provavano passi e coreografie particolari. Abbigliate con jeans, felpe e scarpe da ginnastica, le otto ragazze stavano cercando la coordinazione tra di loro in quella che sembrava una versione più complessa delle consuete danze che si svolgevano in piazza. Una di loro pareva più esperta e cercava di dettare l’esempio distribuendo occhiatacce e parlottando fitto fitto.
Subito dopo sono arrivate 6 bambine abbigliate in costume tradizionale. La loro danza, pur avendo qualche movimento in comune con quella vista prima, si differenziava per alcuni movimenti che prevedevano l’accovacciamento e la genuflessione. La cosa curiosa – e divertente – che all’interno del gruppo una ragazzina sembrava la più brava e svelta delle altre, ma anche la più prepotente. Quando una collega sbagliava un passo, o invertiva la direzione, non si risparmiava in urla e strepiti e la metteva subito in riga. Cosa che non gli è assolutamente riuscita con una bambinetta, la più piccola, che faceva esattamente tutto il contrario di quanto gli veniva richiesto!