I dintorni di Luang Prapang offrono molteplici occasioni di visitare luoghi incantevoli: villaggi, foreste incontaminate, aree coltivate, templi nascosti. Ma l’escursione più apprezzata dai turisti è senza dubbio quella delle cascate di Kuang Si. Una gita di un giorno che – a seconda della stagione – può rivelarsi il momento più gratificante di tutto il viaggio nel Laos o – al contrario – il più azzardato in assoluto.
Fin dalla prima passeggiata per Luang Prapang è impossibile sottrarsi al fascino ipnotico di queste piscine naturali, mostrate in tutte le agenzie di viaggio su deplian, cartelloni, manifesti di ogni tipo e dimensione. Dovuque ci giriamo, la nostra attenzione viene catturata da una immagine particolarmente evocativa, magnifica, quasi irreale. Una volta una grande vasca colma di acqua pulita e cristallina. Un’altra un ponte di legno sospeso su una cascata. Un’altra ancora una magnifica visione di una foresta che sembra straordinariamente incontaminata. L’idea quindi è quella di un luogo fatato, popolato da elfi e spiriti della foresta, dove è possibile trascorrere un momento di pace e relax assoluti.
Non è esattamente così, come si può facilmente intuire. L’abbondanza di offerte di escursioni organizzate a Kuang Si rende chiaro che il luogo sarà non solo popolato, ma addirittura sovraffollato; e non di elfi e spiritelli, ma di umani in carne e ossa, la maggioranza di carnagione chiara e dai capelli biondi… Io e mia moglie, malgrado fossimo perfettamente consapevoli di questo, abbiamo deciso di acquistare ugualmente una escursione di mezza giornata. Della serie: provare per credere.
Le cascate di Kuang Si sono un complesso di rapide e piscine naturali immerse nella foresta pluviale a circa 30 chilometri da Luang Prapang. Si raggiungono facilmente tramite le agenzie locali – che mettono a disposizione un minivan o un’auto privata -, affittando uno scooter o una bicicletta. Anche i tuk tuk percorrono questo tragitto continuamente, avanti e indietro; offrono un servizio meno comodo di altri, è chiaro, ma molto meno costoso.
Giunti al parco bisogna acquistare un biglietto d’ingresso di circa 20.000 kip; questo dà diritto a visitare l’attiguo centro per la conservazione e tutela degli orsi asiatici. Un posto che si è costretti ad attraversare comunque, visto che si trova proprio sul sentiero che conduce alle cascate. Gli orsi in questione sono i pochi fortunati sfuggiti – o strappati – dalle grinfie dei bracconieri; vengono tenuti in vaste aree recintate nelle quali non danno l’impressione di divertirsi molto. Anzi, dal numero di sbadigli a cui si abbandonano, sembrano annoiarsi alquanto. Ma almeno lì dentro sono al sicuro. L’orso asiatico è il più piccolo di tutte le specie di orso esistenti, come viene efficacemente illustrato proprio all’ingresso del centro. Le sue due specie più diffuse, entrambe in pericolo di estinzione, sono l’orso dal collare e l’orso labiato.
Procedendo oltre, inizia il sentiero che conduce alle prime cascate. A dire il vero, il primo spiazzo che si apre tra le vegetazione è occupato, quasi integralmente, da piccoli ristorantini o rivendite di genere alimentari vari. Ciò può indurre a pensare che il luogo è un mero accrocco di esercizi commerciali e nulla più, ma sarebbe ingiusto. Proseguendo, sopratutto quando il sentiero di riduce a una striscia di terriccio appena rilevabile, ecco che la bellezza di Kuang Si ci esplode tutto intorno.
Il terriccio, appunto. E’ il vero motivo di disagio di tutta la passeggiata. Nella stagione dei monsoni (cioè quando ci sono andato io), l’umido e la pioggia, più o meno battente, dominano tutto. Il terreno, inevitabilmente, diviene scivoloso, insidioso, instabile. Ogni pietra sembra essere coperta dal muco delle lumache, tanto è sdrucciolevole. Camminare senza cadere, allora, diventa un’impresa.
Io e mia moglie non eravamo preparati a quanto ci aspettava. Pensando di andare a fare un trekking nella foresta, ci eravamo abbigliati di conseguenza, con le nostre belle (e costose) scarpe tecniche ai piedi. Che si sono rivelate presto inutili. Il fango ha subito riempito gli interstizi della suola, rendendola di fatto liscia come l’olio, e quindi inutile. Gli altri turisti, invece, più avveduti di noi, giravano tranquillamente in infradito e non sembravano soffrire troppo della precarietà del terreno. Saltellavano da una roccia all’altra con agilità e spensieratezza, procurando a noi una malcelata e poco edificante invidia.
Il consiglio è quindi di andare a Kuang Si abbigliati come se doveste andare a mare. D’altronde, l’attività più gettonata è quella di tuffarsi nelle innumerevoli piscine naturali del parco, quindi meglio andarci preparati. Ciabatte a infradito, costume da bagno, una asciugamani e una felpa per il dopo bagno: non serve altro. Per cambiarsi, all’occorrenza, si può ricorrere ad alcune cabine di legno, proprio come al mare…
Quasi tutte le vasche sono facilmente raggingibili, sia tramite i sentieri sia attraversando dei graziosi ponticelli di legno sospesi su di esse. La profondità dell’acqua non è mai eccessiva, così come non è particolarmente forte la corrente, che trova delle barriere naturali sui bordi granitici di ogni piscina. Il divertimento maggiore, a quanto pare, è quello di afferrare una fune sospesa da un ramo e dondolarsi fino a lasciarsi andare con un tuffo – spesso goffo e disarticolato – nell’acqua sottostante. Alcune funi, disposte in zone particolarmente adatte all’operazione, sono talmente richieste che c’è la fila per poterle utilizzare.
A parte il bagno nel fiume, l’altra attività che si può svolgere a Kuang Si è l’arrampicata alla cascata principale. Anche qui bisogna fare un distinguo tra stagione secca e stagione delle piogge. Nella prima è una scalata tutto sommato semplice: la portata della cascata è minore e minore è anche il grado di umidità tutto intorno. Nel periodo umido o peggio, nel periodo dei monsoni, la cascata si gonfia e ricopre ai suoi lati anche le zone che normalmente erano asciutte. Arrampicarsi fin sopra di essa, quindi. diventa un tantino più difficoltoso. Ci sono due sentieri per raggiungere la sommità della cascata. Entrambi sono piuttosto ripidi. Quello di destra mi è parso decisamente accidentato e scivoloso, e anche un tantino pericoloso. Quello di sinistra, invece, più lungo, sembrava accessibile, meno difficile, anche per via degli scalini che qualcuno, in passato, ha avuto l’idea di scolpire tra le rocce.