Le Batu Caves sono l’attrazione principale e allo stesso tempo la più faticosa escursione che si possa fare a Kuala Lumpur. Situate in una località oramai assorbita dai sobborghi della capitale, oggi le Batu Caves sono facilmente raggiungibili grazie alla metropolitana (Komuter KTM). Per questo motivo sono sempre molto affollate, specie nelle ore centrali della giornata. E’ buona idea quindi andarci presto, evitando così i disagi della calca e – soprattutto – il terrificante caldo umido che giunge a metà mattinata. Questa località, infatti, è ancora circondate dalla foresta pluviale e ne risente alquanto dal punto di vista climatico.
Le Batu Caves, tuttavia, non sono una mera attrazione turistica. E’ facile rendersene conto appena giunti nella vastissima spianata che precede una lunga scalinata. La maggior parte dei visitatori sono locali e fra i turisti si notano parecchi indiani. Il luogo, infatti, è considerato sacro per l’induismo malesiano e non solo, ed è da sempre una meta di pellegrinaggio da tutto il mondo. L’enorme statua che ci accoglie, d’altronde, non lascia adito a dubbi sulla religione che qui viene praticata.
Si tratta del dio guerriero Murugan, figlio di Shiva e venerato sopratutto dagli indù di origine Tamil. L’enorme statua dorata di ben 47 metri è stata realizzata in tempi recenti ed è posta a guardia di una lunga ed erta scalinata che conduce verso una spaccatura nella roccia soprastante. E’ la prima di tre enormi caverne calcaree, situate su livelli crescenti, dentro le quali sorgono parecchi tempietti indù, tutti equamente frequentati dai fedeli e dai turisti.
E’ la scalinata, in verità, a destare qualche iniziale preoccupazione. La prima rampa, in particolare, mette parecchia soggezione, dato che non se ne intravede la fine. Ciò che rende l’impresa più sconfortante è accorgersi che ogni gradino è numerato! Immediatamente appare chiaro che la salita non sarà proprio una passeggiata di salute, ma ci impegnerà allo stremo. Inoltre i gradini, per colmo di sfortuna, in alcuni punti appaiono irregolari e di altezza spropositata!… Ma ormai ci siamo e dobbiamo affrontare l’ascesa.
Terminata la prima rampa si giunge finalmente alla prima cavità trafelati e inzuppati di sudore da fare schifo. Si tratta di una caverna ampia ma ben illuminata, caratterizzata dalla presenza di negozietti di souvenirs e da una curiosa colorazione della roccia a fasce giallo-rosse. Qui non si trovano molti templi ma si intravedono, qua e là, delle statue a grandezza naturale poggiate tra gli anfratti delle rocce. Anche questi luoghi sono molto venerati, a giudicare dal comportamente dei fedeli, che offrono cibo e ghirlande di fiori. Alcuni angoli sono molto suggestivi, perchè ricavati all’interno di uno scenario naturale composto da enormi stalattiti e stalagmiti e illuminati dalle fioche lanterne portate dai fedeli.
Una seconda rampa di scale, meno lunga della precedente, conduce alla grotta intermedia, la più vasta del complesso. Al contrario di quella appena vista, qui domina l’oscurità e le uniche zone a vista sono quelle illuminate dai raggi che provengono da spaccature nella volta. Sono delle vere e proprie lame di luce che rivelano, ogni tanto, qualche baldacchino e qualche statua isolata. In questa grotta è possibile ammirare il cosidetto “tempio principale”, che risulta però essere piuttosto deludente, date le dimensioni e la povertà delle rifiniture – almeno in confronto all’opulenza dei templi indiani.
La maggior parte dei pallegrini si ferma qui. E’ questa, infatti, per loro, la meta finale della scalata. Alcuni santoni abbigliati semplicemente di un misero sarong si occupano di smistare la folla, raccogliere le offerte in denaro, distribuire qualche goccia d’acqua santa tramite un rametto di foglie. Il tutto sotto l’innaturale e un po’ fredda luce di una batteria di neon bianchi. Il resto della caverna è lasciato ai turisti che, intravedendo alla fine un’altra enorme spaccatura illuminata, si dirigono senza rimpianti verso di essa.
L’ultima tappa non è proprio una caverna in senso stretto. Si tratta in effetti di un enorme buco nella roccia con intorno pareti a picco e mucchi di vegetazione tropicale. Un tempo doveva essere esattamente come le altre, ma poi la volta è crollata ed è rimasto questo altissimo cono di roccia che sovrasta un’area di poche decine di metri quadrati.
Raggiungerla è l’ultimo vero atto di sacrificio (o di fede, a secondo dei punti di vista) da compiere. La scalinata finale, malgrado sia limitata a poche decine di metri, risulta più faticosa del normale, dal momento che il ritorno all’aria aperta ci espone adesso al feroce umido della zona. Qui non è raro trovare perfino la pioggia, che cade fitta fitta dentro il cono e da cui non è possibile ripararsi in alcun modo. A noi è capitato, e ci siamo dovuti ammucchiare tutti presso una lieve rientranza della roccia aspettando di poter riguadagnare le scale e tornare giù.
La pausa ci ha dato modo di osservare gli unici e incontrastati dominatori delle Batu Caves: i macachi dalla coda lunga. Ce ne sono a centinaia e sembrano molto a proprio agio tra statue, templi e umani indaffarati. Provengono dalle pareti scoperte di quest’ultima caverna (se ne vedono molti saltellare come capre sulle pareti scoscese) ma vivono con tutta evidenza delle offerte dei fedeli.
Questo luogo, infatti, è disseminato di ogni genere di resto alimentare di origine umana: cocchi spaccati, bucce di mango o banana, mazzetti mangiucchiati di fiori, pannocchie rosicate, pacchetti di patatine sventrati, bottigliette di plastica, snacks di ogni tipo. E’ il loro terreno di caccia, è inutile negarlo, e qui comandano loro. Quindi guai a dar mostra di avere del cibo o comunque qualcosa che ci assomigli. Le scimmiette, pur essendo mediamente più piccole dei loro cugini indiani, sono comunque molto spregiudicate e non temono alcunché da noi bipedi.
Una volta terminato di fotografare a sufficienza macachi e conglomerati calcarei, è ora di tornare indietro, ovvero ripercorrere esattamente lo stesso percorso dell’andata. Ma questa volta in discesa. Ma occhio all’ultima parte, cioè la scalinata più lunga affrontata all’inizio. Vietato avere fretta! L’irregolarità degli scalini unita alla stanchezza accumulata durante l’escursione, possono provocare un leggero affaticamente ai muscoli delle game e un irrigidimento delle giunture. Inoltre, se ha piovuto, ogni gradino potrebbe rivelarsi una trappola mortale! Affrontare la discesa con più circospezione della salita, quindi, è la cosa più giusta da fare.