Sri Lanka viene definito il piccolo “continente in miniatura”: ad eccezione dell’ambiente alpino, quasi tutti gli ecosistemi sono rappresentati in poche centinaia di chilometri quadrati. Da sud a nord, anche gli osservatori più prigri non potranno fare a meno di notare come il paesaggio cambi continuamente. Dalla foresta pluviale si passa rapidamente alle pianure alluvionali, dalla giungla alla savana, dalle foreste di mangrovie al deserto. Lo spettacolo che si apre davanti ai nostri occhi è insomma mutevole e affascinante.
Uno degli ambienti più caratteristici dell’isola è quello caratterizzato dalla cosidetta foresta tropicale e sub-tropicale di latifoglie secche, o per dirla più semplice, foresta secca. Si tratta di una vegetazione che, a seconda delle precipitazioni annue, può tendere nella direzione della savana africana o, al contrario, avvicinarsi alla giungla indiana. Un ecosistema molto particolare che ricopre quasi interamente il nord-ovest del paese. In pratica, è il paesaggio tipico del “triangolo culturale” dello Sri Lanka.
Tecnicamente, una foresta secca è composta da alberi che in particolari periodi di prolungata siccità tendono a perdere gran parte delle foglie. Appaiono quindi meno rigogliosi di quanto lo siano normalmente. In alcune zone, sembrano perfino rinsecchiti e spettrali come i nostri alberi in inverno – ma per la ragione inversa, ovviamente. In realtà, molte piante non perdono le foglie. L’esigenza di ridurre la dispersione d’acqua le costringe semplicemente a ridursi di volume, sacrificando gran parte del proprio fogliame, che però non sparisce mai del tutto.
La quantità di verde disponibile varia quindi a seconda delle precipitazioni. In alcune aree del paese la spogliazione è davvero notevole e sembra di trovarsi in un bush australiano. E’ ciò che ho visto nei dintorni di Polonnaruwa, per esempio, dove l’altezza degli alberi non supera i due metri e il suolo è ricoperto da una folta vegetazione secca e spinosa. In altre parti, ancora più a nord, il terreno diventa sempre più sabbioso e polveroso, costringendo le piante a diradarsi sempre di più, lasciando spazio a vaste zone di vera e propria savana. In queste aree si intravedono spesso gli scheletri di alberi che un tempo dovevano essere molto grandi, almeno a giudicare dalla circonferenza del tronco. Sono il ricordo ormai sbiadito di un tempo in cui la foresta pluviale ricopriva quasi tutta l’isola.
Intorno a Sigiriya si può ammirare forse l’esempio più gradevole di foresta secca sempreverde dello Sri Lanka. A dire il vero, Sigiriya non è altro che una grande distesa piatta ricoperta di alberi e dominata dalla sua famosa roccia rossa. Ma qui la vegetazione sembra più rigogliosa e in salute che in altre aree. Come testimonia l’immagine principale di questo articolo, gli alberi di una certa dimensione sono molti e ben distribuiti e il suolo è ricoperto da un’erba florida che tappezza un terreno altrimenti piuttosto arido. Un luogo molto piacevole dove fare due passi anche quando fa molto caldo.
E’ ciò che ci siamo concessi noi, dopo una lunga traversata in auto che ci aveva anchilosato arti e cervello. Il nostro albergo, come molti altri di alto livello, sorgeva proprio in mezzo alla giungla e se non fosse stato per il nostro autista, che fortunatamente lo conosceva, non ci saremmo mai arrivati. Dopo esserci rifocillati, ci siamo precipitati fuori per capire dove ci trovassimo. Intorno a noi vedevamo solo alberi e poche abitazioni isolate. Segni di una cittadina, o comunque di un villaggio qualsiasi, nessuno!
La foresta era così fitta che impediva al nostro sguardo di penetrare oltre le chiome degli alberi. La sensazione era di trovarsi in mezzo al nulla, suoni e rumori compresi. Ogni tanto, infatti, giungevano urla stridule di scimmie, il canto strozzato dei pavoni e qualche rumore sospetto dai rami più alti. Malgrado ciò, ci siamo messi in marcia alla ricerca di qualcosa di più vitale, dal punto di vista umano, dei pochi contadini che incrociavamo ogni tanto e dei tanti cani selvatici che ci seguivano sperando chissà in quale elemosina. Dopo almeno un chilometro di cammino il paesaggio non accennava a mutare: alberi e alberi, sempre più fitti, in alcune zone addirittura con le chiome ad ombrello sulla strada. E niente di lontanamente simile ad un villaggio.
Morale della favola: la passeggiata è terminata in un nulla di fatto. Avevamo semplicemente sbagliato direzione. Ma l’avventura di quel pomeriggio ci ha permesso di apprezzare meglio questo ecosistema così particolare e vario, dominato da una foresta comunque fitta e rigogliosa. E ci ha insegnato che è sempre meglio portarsi un navigatore gps, così da capire per tempo quale direzione prendere prima di intraprendere passeggiate così lunghe e senza meta…