L’influenza cinese a Penang non si limita alle deliziose pietanze offerte nei food corner. La comunità cinese è una presenza talmente viva e radicata da far credere, in alcuni quartieri, di trovarsi a Shanghai o a Singapore. Non sorprende, quindi, se i templi buddisti taoisti spuntino come funghi un po’ dappertutto. Fra questi ve ne è uno che supera qualsiasi altro per imponenza, estensione, magnificenza ed esagerazione. Si tratta del Kek Lok Si, il più grande tempio buddista della Malesia. Si trova fuori George Town, su una collina che domina la città. Non è proprio a portata di mano, è vero, ma consiglio di fare uno sforzo per raggiungerlo, perché merita di sicuro una visita.
Iniziamo da come arrivarci. Le alternative sono numerose e tutte valide, peraltro quasi sempre a buon mercato. Nel 2009, al contrario, la scelta era limitata all’autobus pubblico o il taxi. Noi optammo per la prima opzione, recandoci alla stazione degli autobus della Komtar, come si vede nell’immagine sopra. Da qui si prende l’autobus numero 203 o il 204 che, al costo di 2 Ringitt, ti porta fin sotto le prime rampe della collina (Air Itam) dove è collocato il tempio. La fermata a cui scendere è proprio quella finale, posta lungo Jalan Air Itam.
In alternativa, si può scegliere il taxi privato The Grab o, per i più coraggiosi, si può noleggiare uno scooter. Con questo mezzo è indubbiamente più agevole programmare la visita, essendo liberi di scegliere quando partire, quanto tempo restare e come muoversi per esplorare i dintorni. Inoltre la moto può essere parcheggiata all’interno dell’area del tempio al costo di 1 Ringitt, riducendo di molto la camminata iniziale. Da George Town l’intero viaggio non dovrebbe superare i 30-45 minuti, a seconda del traffico.
Il tempio Kek Lok Si apre i suoi battenti ogni mattina alle 8:30. Non è richiesta alcuna quota d’ingresso. Tuttavia, le donazioni al tempio possono essere depositate in varie cassette collocate in più punti. Sembra peraltro che non sia previsto alcun codice di abbigliamento specifico per accedere al tempio. Nondimeno, poiché si tratta comunque di un luogo di culto, consiglierei di vestirsi in modo idoneo evitando, per esempio, di scoprire ginocchia e spalle e di tenere il cappello in testa quando si entra all’interno di un tempio.
Composta da una serie di monasteri, sale di preghiera, templi di ogni dimensione e splendidi giardini paesaggistici, il complesso di Kek Lok Si fu costruito a partire dal 1890 da Beow Lean, un devoto buddista cinese immigrato. Ci vollero 20 anni per completare i lavori e ciò che si ammira oggi è una complessa e tentacolare area di culto che ogni anno si arricchisce di una cappella o di uno stupa in più. I finanziamenti, oggi come allora, provengono dalle donazioni della comunità cinese dello Stretto di Penang.
Il complesso pertanto è una pietra angolare della comunità cinese malese. Conosciuto anche come il “Tempio della suprema beatitudine“, per molte centinaia di metri si fatica a individuarne i connotati religiosi. La strada che conduce alle sue prime costruzioni, infatti, è costellata in modo asfissiante di chioschi di souvenir e bancarelle di cibo da strada. Dappertutto sono presenti esercizi commerciali di varia natura, tanto da snaturare, in qualche modo, la sacralità del luogo. Ma per chi è avvezzo alle cose orientali non sembrerà poi così strano o inappropriato.
Kek Lok Si è in parte scavato nella parete rocciosa, in parte arroccato in cima alle pendici dell’Air Itam. L’attrazione principale è l’imponente pagoda di Rama VI e al centro del complesso, la torre di sette piani di un delicato giallo/verde pallido, universalmente considerata il simbolo di Kek Lok Si. Più oltre ecco la Pagoda dei Diecimila Buddha, contenente una interessante collezione di Buddha in alabastro e bronzo disposti uno accanto all’altro in una fila all’apparenza infinita. Ha una base ottagonale cinese mentre i suoi livelli intermedi sono in stile thailandese.
La sommità della collina ospita una statua in bronzo alta 36,5 metri di Kuan Yin, la Dea della Misericordia; in futuro si prevede di costruirci intorno 16 colonne di bronzo riccamente decorate per sostenere un tetto che dovrebbe proteggere la statua dalle intemperie. All’epoca del mio viaggio le impalcature avevano completamente nascosto la statua alla vista. Non mi risulta che i lavori siano stati completati.
Il complesso deve essere visitato con calma, senza affrettare i tempi. La lenta salita verso la pagoda più alta, quella che riserva la sorpresa forse più appagante di tutta la gita, deve essere compiuta come una sorta di pellegrinaggio, osservando ogni minimo dettaglio con la dovuta attenzione. Sarebbe un peccato, infatti, perdersi alcune chicche del paesaggio circostante che, complice la folla o l’intricata complessità delle costruzioni, potrebbero passare quasi inosservate. Come ad esempio il famoso stagno delle tartarughe, vera istituzione cinese, che è situato in una zona poco accessibile, almeno all’apparenza. Questo minuto laghetto, affollato fino alla saturazione di tartarughe acquatiche di tutte le dimensioni, è chiamato “The liberation Pond”. Secondo la tradizione cinese, le tartarughe simboleggiano la longevità, la forza e la resistenza; catturarne una e poi liberarla in questo stagno è quindi considerato un rito di liberazione spirituale.
L’ultimo sforzo ci conduce alla sommità della Pagoda di Rama VI. Il percorso si snoda su 7 piani, ognuno dei quali mostra spettacolari vedute dei dintorni attraverso finestre finemente decorate. Infine, una balconata circolare si apre in cima e si viene proiettati, improvvisamente, all’interno di un panorama a 360° della città di George Town e dello stretto di Penang. E’ il luogo più affascinante del complesso, e non solo per la vista. Ogni parte del tempio, infatti, si estende ai nostri piedi in tutta la sua magnificenza ed è possibile ammirarne ogni minimo dettaglio dall’alto. Lo spettacolo è assicurato.