India e salute: quali vaccinazioni fare prima di partire

I vaccini rappresentano da sempre una questione controversa se non addirittura divisiva. C’è chi è contrario alle vaccinazioni, di qualsiasi tipo e a qualunque età, per timore che alla lunga possano nuocere alla nostra salute; c’è chi pensa che è meglio lasciar fare al nostro organismo, magari anche rischiando qualche brutta infezione, al solo scopo di immunizzarci e fortificarci; ci sono quelli che ne fanno una questione ideologica, distopica, per cui gli Stati cattivi producono vaccini per inoculare chissà quali sostanze proibite nel corpo dei cittadini; altri, infine, la mettono più semplicemente sul fattore economico: i vaccini vengono prodotti per fare guadagnare le case farmaceutiche, quindi è meglio scoraggiarne l’uso.

Comunque la pensiate, le vaccinazioni, da più di un secolo, sono utilizzate in tutto il mondo per combattere – e molte volte sconfiggere definitavamente – alcune malattie che decimavano intere popolazioni o le riducevano in uno stato di debolezza cronica. Le persone che, potendo scegliere liberamente, si vaccinano, sono la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, e questo è un dato di fatto. Non penso che una qualsiasi delle motivazioni addotte sopra possa convincere un abitante della Repubblica Cetroafricana a non vaccinarsi contro la febbre gialla o contro il dengue. Fra i tanti mali, lui sceglierà sempre il minore, per se stesso e per la sua famiglia, ovvero rischiare qualche effetto collaterale (o vedersi inserire un chip nel proprio organismo) pur di non tirare le cuoia anzitempo.

Ecco, in realtà è proprio questo l’elemento che intendo trattare in questo articolo, quando bisogna decidere se vaccinarsi prima di partire per un viaggio in un paese potenzialmente a rischio. E’ essenzialmente un problema di scelta tra diversi scenari antitetici. Mi vaccino? Non mi vaccino? Ne vale la pena? E cosa rischio se non lo faccio? Cosa rischio, al contrario, se lo faccio?

Le vaccinazioni consigliate per l’India

Proprio ieri sono andato al Centro Vaccinazioni Internazionali di Roma per fare le vaccinazioni consigliate per l’India, ovvero il vaccino contro il tifo, quello contro la meningite, per l’epatite A e B, il richiamo del tetano. Si tratta di vaccinazioni “raccomandate”, si badi bene, non obbligatorie, perché in India, a parte alcuni posti comunque poco turistici, non ci sono più zone a rischio infezioni, come un tempo.

Ad ogni modo, la procedura adottata dalle ASL in Italia prevede prima un colloquio preliminare con il paziente, in cui occorre presentare (se in possesso) il libretto giallo delle vaccinazioni pregresse e dichiarare in quale parte di mondo si intende viaggiare. Inoltre, viene chiesto anche se si va per conto proprio o con un viaggio organizzato. Evidentemente dev’esserci qualche motivo che discrimina le due situazioni, ma al momento mi sfugge… Forse i virus e i batteri preferiscono vigliaccamente attaccare chi viaggia da solo piuttosto chi sta in numerosa compagnia?

Finito questo colloquio, i dottori compilano un foglio con tutte le vaccinazioni che ritengono siano da fare. Accanto a ogni voce c’è un costo unitario: la somma totale, nel mio caso, è stata di 87€. ma può arrivare anche a 150-200€ se vengono aggiunte le vaccinazioni contro il dengue, la febbre gialle o la profilassi antimalarica. Una volta pagata la fattura, si ritorna all’ambulatorio e si aspetta il proprio turno – a Roma può essere un’attesa molto lunga – finché non si viene introdotti in una piccola stanza dove ti inoculano i 4 vaccini, due in un braccio, due nell’altro. Finita l’operazione, bisogna aspettare una decina di minuti prima di rimettersi in cammino, ma in genere la gente, spazientita per le lunghe attese, taglia la corda anzitempo.

Il vaccino contro l’epatite A e B (quello contro le infezioni alimentari, quindi il più utile nei paesi con poca igiene) necessita di due richiami: uno entro 3-4 mesi dalla prima inoculazione; l’altro un anno dopo. Una volta finito il ciclo, tuttavia, si è immunizzati per tutta la vita e non è più necessario tornare a vaccinarsi. Ogni vaccinazione è archiviata in un database nazionale e mondiale, quindi il famoso “libretto giallo” di qualche decina di anni fa non viene più rilasciato. Adesso è tutto informatizzato.

Gli effetti collaterali sono francamente irrisori. Un po’ di malessere ai bicipiti, dove siamo stati “siringati” e niente più. Qualcuno ha avvertito un po’ di spossamente qualche ora dopo, altri un forte mal di testa e astenia. Pochissimi hanno dichiarato di aver avuto la febbre, e comunque si è trattato di una semplice alterazione che non è durata più di una notte. Insomma, i vaccini dei viaggiatori non sembra comportino conseguenze sul nostro organismo.

Ma non sarà per caso che non avvertiamo effetti collaterali, o perlomeno tendiamo a sminuirli, perché siamo fortemente motivati dal viaggio? Forse sì. L’aspetto psicologico conta in questo genere di situazioni. Ci convinciamo che adesso siamo più forti, maggiornamente immunizzati, e quindi pronti per affrontare qualsiasi imprevisto. Gli anticorpi ci proteggono, quindi perché preoccuparsi? Quella samosa offerta da un venditore ambulante non fa più tanta paura, posso mangiarla, ho fatto il vaccino contro l’epatite A e B, perbacco!

Considerazioni finali

In fin dei conti, si tratta di fare una scelta tra due scenari contrapposti e nondimeno altrettanto validi. Da una parte, scelgo di non vaccinarmi perché temo che il mio organismo si “abitui” all’aiuto esterno del vaccino e non faccia più il suo lavoro, che è quello di attivare gli anticorpi per immunizzarsi. In questo modo, dicono alcuni, si finisce per indebolire, anziché rinforzare, il proprio corpo, con conseguenze che potrebbero essere letali a lungo andare. Quindi meglio evitare, rischiare qualche brutta infezione ma lasciare fare al nostro sistema immunitario che, fino a prova contraria, è in grado di superare qualsiasi difficoltà, e lo fa egregiamente ormai da millenni.

Ma ecco la tesi contraria. Io vado in vacanza una volta l’anno. Preparo con cura maniacale ogni aspetto del viaggio, metto da parte un sacco di soldi, faccio sacrifici, litigo con i colleghi per avere le ferie quando mi servono… Finalmente posso fare il viaggio che sogno da una vita. E allora perché rovinarlo con una brutta malattia? Perché rischiare di finire in un letto di ospedale di una provincia sperduta del Nepal, o dell’India, magari per giorni e giorni, soffrendo le pene dell’inferno, solo perché non ho voluto dare una mano al mio sistema immunitario a individuare e a debellare i patogeni che mi stanno mettendo in ginocchio? Senza parlare delle conseguenze più estreme, come il ritorno in patria forzato o l’esporso di cifre esorbitanti per le cure ricevute. Insomma: chi se ne frega se il mio organismo non si rinforzerà a dovere in futuro: mi serve in buono stato adesso, subito, e non fra 20 anni!

In fin dei conti, a pensarci bene, c’è un solo modo per immunizzarsi: conoscere il nemico, cioè il patogeno. E si può ottenere in due modi: o facendolo entrare da perfetto sconosciuto, lasciandolo procurare danni, più o meno gravi, per poi debellarlo (con medicine, ovviamente, non con la sola forza della natura). Oppure inocularlo depotenziato, come vaccino, in modo che l’organismo lo individui, impari a distruggerlo e conservi memoria di esso per il futuro. Questa opzione non comporta né malattia né ferie compromesse. E non prevede neppure l’assunzione di medicine chimiche, prodotte da fameliche case farmaceutiche, per guarire.

Come al solito, si tratta di scegliere cosa è meglio per noi.

 

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