Sulle guide di viaggio il parco dello stagno del drago nero è segnalato come “da vedere”. Affermazione ineccepibile se non fosse che il luogo, di per sé, non vale la lunga e tormentata scarpinata che comporta. E’ senza ombra di dubbio un posto notevole, caratterizzato da paesaggi affascinanti e giardini lussureggianti. Ma è talmente vasto che è impensabile poterlo vedere tutto in un giorno, checché dicano opuscoli o depliant.
Ad ogni modo, il parco dello stagno del drago nero rappresenta un ottimo diversivo alle interminabili processioni e agli ingorghi di gente del centro di Lijiang. Solo per questo motivo vale la pena di raggiungerlo. Il costo del biglietto, peraltro, è compreso della tassa di soggiorno pagata per alloggiare a Lijiang; motivo in più per sfruttare una bella occasione di fare una bella passeggiata e respirare aria (più o meno) pura.
Il parco si raggiunge abbastanza facilmente. Basta seguire quella che a Lijiang sembra essere la strada principale della città: una lunga via diritta, affiancata da due canali di acqua purissima, che sfocia nella piazza più grande, quella in cui avvengono ogni sera le danze Naxi. Oltre un brutto ponte di cemento moderno il fiume continua verso nord. Bisogna seguirlo, inoltrandosi prima su viottoli di pietra, poi su sentieri in cui la terra battuta la fa da padrone. Alla fine di questo percorso si arriva all’ingresso del parco, davanti al quale troneggia un tabellone con la mappa dettagliata.
Questa prima immagine dovrebbe francamente indurre a qualche dubbio. Le proporzioni, infatti, sono del tutto errate. Né ci viene in aiuto la mappa che ci consegnano in biglietteria. L’immagine è più o meno la stessa del tabellone all’ingresso, con la differenza che le voci sono in inglese anziché in cinese. Tutto qui. E’ impossibile comprendere quali siano le distanze e i tempi di percorrenza. Affidandoci a queste mappe, infatti, sembra che l’intero tragitto non occupi più di un paio d’ore di cammino.
Naturalmente anche noi abbiamo effettuato tale stima e ci siamo introdotti nel parco fiduciosi che entro l’ora di pranzo saremmo tornati indietro. Mai previsione fu più sbagliata.
Le attrazioni principali di questo “stagno” sono in linea di massima due: il lago, o meglio le 3 piscine di acqua sulfurea bianca che si succedono una dietro l’altra; il grazioso ponticello a 5 archi che separa i due laghi più grandi e che, insieme alla pagoda poco distante, costituisce l’angolo più suggestivo – e fotografato – del parco. Quest’ultimo scorcio è ancora più incantevole quando il cielo è terso; solo allora infatti è possibile ammirare una montagna triangolare, con la cima innevata, ergersi tra le colline e specchiarsi nel lago. Questo rilievo viene chiamato abbastanza romanticamente il “monte di giada” ed è un luogo quasi sacro per le popolazioni locali.
Ovviamente quando ci siamo andati noi il cielo era coperto, pioveva a tratti, i sentieri erano per lo più fangosi e del “monte di giada” non c’era alcuna traccia. Tutto ciò che abbiamo ammirato è stato il ponte e qualche scorcio panoramico della vegetazione che ci circondava, un raro esempio di foresta pluviale di alta quota in Cina. Secondo la mappa, proseguendo oltre il terzo laghetto si sarebbe imboccato un sentiero che avrebbe condotto in un punto panoramico privilegiato per ammirare il parco e la città di Lijiang dal versante montano. Peccato che non fosse altrettanto chiaro che la distanza per arrivarsi era in pratica di 5 chilometri o forse più. Una passeggiata impegnativa anche con il sole e una temperatura più mite.
Dopo mezzora di cammino abbiamo realizzato che la mappa andava buttata via senza rimpianti. E abbiamo convenuto, senza eccessive discussioni, di tornare indietro. Sulla via del ritorno, in una piazzetta con un grazioso gazebo centrale dove una orchestra suonava della musica locale, abbiamo assistito ad una usanza tipica del luogo. Tutto intorno ad essa, infatti, sorgevano dei negozietti che esponevano vetrine, ampolle e vasche in cui nuotavano dei pesci e delle ranocchie vive. La gente acquistava un animale non per mangiarselo ma per liberarlo nel lago. Un rito compiuto probabilmente per ingraziarsi qualche spirito locale o per chiedere una grazia. Non abbiamo capito di più, sinceraemente.
Ciò che abbiamo potuto costatare, tuttavia, è che la quantità di pesci nel lago è davvero spropositata. Queste creature si affollanno in enormi gruppi sotto i ponti o presso le rive dove passano i turisti, che non perdono occasione di nutrirle e incoraggiare ulteriormente tale abitudine. In certi posti la massa di pinne, squame e bocche spalancate è tale che l’acqua ribolle. E ogni tanto non è raro vedere il cadavere a pancia all’aria di qualche pesce che, fra competizione alimentare e temperatura delle acque, non ce l’ha fatta.