Il nostro viaggio del 2015 aveva una sola meta, il sud della Cina, dove il nostro amico Guido si sarebbe sposato. Non restava molto tempo da dedicare alle visite turistiche. Tuttavia, siamo riusciti a ritagliarci due giorni pieni, uno all’andata e uno al ritorno, che sono bastati a colmare il deficit di visite della nostra prima venuta a Pechino (agosto 2010). In questo è stato molto utile Guido, che ci ha suggerito un paio di destinazioni molto popolari e facili da raggiungere.
La prima delle quali era il grande parco Beihai. Noto anche come il “Parco del Mare del Nord”, nel consueto stile altisonante che i cinesi amano tanto, è uno dei più antichi e meglio conservati giardini imperiali della Cina. Situato proprio al centro di Pechino, a nord-ovest della Città proibita, è facilmente raggiungibile tramite la Metro, fermata Beihai North. Si tratta in pratica di un bellissimo giardino che circonda un lago al cui centro, su una isoletta raggiungibile da un magnifico ponte bianco, si erge un altissimo stupa dallo stile tibetano, il “Dagoba Bianco“.
Il primo impatto con il parco Beihai è proprio con il suo vasto laghetto. Non è certo un mare, ma fa impressione vederlo per metà ghiacciato, come è capitato a noi. Del resto, la giornata era stranamente assolata e questo perché – ci ha spiegato Guido – tirava un forte vento freddo proveniente dalla Mongolia, vento che per qualche ora ha liberato la città della sua opprimente coltre di nebbia. Tutte le barchette a nolo erano ovviamente ormeggiate sulle rive; nessuno con -3 gradi e un vento di tramontana che tagliava come un coltello, aveva la minima intenzione di noleggiarne una. In compenso, grandi stormi di anatre mandarino avevano occupato ogni spazio libero e si crogiolavano al sole stando accovacciate sulle lastre di ghiaccio. I maschi sfoggiavano dei colori e delle creste molto caratteristiche e non era raro assistere a qualche baruffa tra rivali in amore.
Una fitta rete di graziosi sentieri, tutti estremamente curati, conduce ad una serie di templi e pagode ancora oggi oggetto di culto da parte dei cinesi. Non posso descriverle una per una perché sono moltissime e in alcuni casi è perfino difficile capire quando finisce un luogo sacro e ne inizia un’altro. Ogni tempio è caratterizzato comunque da una struttura esterna, una specie di muro con alcune porte di ingresso colorate e decorate, al cui interno si apre il consueto cortile dei templi buddisti-confuciani, con il grande braciere d’incenso al centro.
Procedendo verso sud sulla riva Ovest del lago, si incontrano molti luoghi interessanti, come il Muro dei Nove Draghi. Costruito nel 1756, questo muraglione policromato ha una lunghezza di circa 27 metri, un’altezza di 6,65 metri e uno spessore di 1,42 metri. È composto da 424 piastrelle smaltate a sette colori che compongono una scena alquanto movimentata. Sono rappresentati, infatti, nove enormi draghi a spirale su ciascun lato del muraglione e draghi grandi o piccoli in diverse posture che affollano le due estremità e la grondaia, per un totale di ben 635 draghi.
L’altra attrazione di questa parte del parco sono senza dubbio i Padiglioni dei Cinque Draghi. Sono cinque costruzioni che si ergono per metà nell’acqua del lago e per metà sulla terraferma, collegate tra di loro da larghi ponti di pietra. Visti dall’alto sembrano un enorme unico drago – o almeno così dicono le guide… Il luogo è incantevole, come peraltro è facilmente intuibile osservando l’immagine di questo articolo. Le incisioni, le decorazioni, i rilievi che appaiono ovunque, anche sul pavimento, sono tutti di squisita fattura. Il posto, inoltre, è ideale per sedersi e ammirare da lontano l’isola con il grande stupa bianco, proprio di fronte.
Questo luogo assolve anche ad un altra funzione, se vogliamo più prosaica. Durante il weekend, se il tempo lo permette, si danno qui appuntamento coppie di appassionati di un ballo locale che definirei “liscio”, se non fosse che non lo è affatto. Sistemano su un parapetto un grosso impianto musicale stereo, fanno partire una musica ad alto volume e iniziano a danzare in silenzio. I passi sono quelli del valzer, il portamento anche, ma la musica non è quella che ci si aspetterebbe. Si tratta infatti di smielate melodie cinesi popolari, cantate a squarciagola da voci femminili al limite dello stridulo, ritmate secondo una cadenza che spesso non è neppure il tre/quarti classico del valzer.
Fatto sta che tutte le coppie presenti (molte, come accade da noi nei paesi, composte anche da due donne o da due uomini), si impegnano in modo estremamente serio e compito nell’impresa di volteggiare per la pista nel modo meno goffo possibile. Ogni tanto si assiste a una collusione tra coppie, ma tutto avviene sempre nel più assoluto silenzio e senza che nessuno, neppure per sbaglio, proferisca verbo.