…continua dalla pagina precedente
Cena al villaggio Karen
Siamo finalmente arrivati al villaggio quando iniziavano a calare le telebre. Eravamo tutti molto provati, per cui non abbiamo sulle prime fatto caso a dove ci trovavamo. Il luogo era circondato dall’oscurità e solo poche capanne sembravano abitate. Inoltre, gran parte degli edifici sembravano faciscenti. Quel villaggio, quindi, non poteva definirsi certo pittoresco, eppure in quel momento ci è parso il luogo più confortevole del mondo.
Da una capanna più attrezzata delle altre, si sprigionava un profumo che in quelle circostanze solleticava alquanto il nostro appetito. Un indigeno, completamente sprovvisto di incisivi e canini e nondimeno sempre oltremodo sorridente, stava cucinando la nostra cena. Che sarebbe consistita nel solito, inflazionato riso fritto alla thailandese. Ma questa volta, sarà stata la fatica, il sudore, la gioia di essere arrivati sani e salvi a destinazione, ci è sembrato il piatto più gustoso mai assaggiato in Thailandia! Mia moglie, ancora oggi, ricorda quel riso fritto – i cui ingredienti sarebbero rimasti sconosciuti per il resto della nostra vita – come la pietanza che le è piaciuta di più in tanti anni di viaggi. Una abbondante scorta di birre in lattina e bevande gassose di ogni genere ha contribuito ad allietare il resto della serata.
La cena è stata consumata serenamente, tra uno scroscio di pioggia e l’altra, finché non è arrivato il momento di raggiungere i nostri “alloggi”. E qui, anche in preparazione di quanto racconterò nei paragrafi successivi, occorre che descriva in cosa consiste l’alloggio presso questi trekking organizzati a basso costo.
Innanzitutto, si dorme in un vero, autentico, genuino villaggio di una qualsiasi delle sette etnie che compongono il variegato panorama umano della Thailandia del nord. A noi è toccato un villaggio Karen, a quanto ho appreso dopo, appartenente cioè al gruppo etnico più numeroso e meno tribale fra tutti. Le abitazioni qui sono caratterizzate da una struttura solo apparentemente tradizionale. Diversi sono infatti i compromessi con la modernità che si scorgono un po’ dappertutto. Diciamo che la tipica conformazione di una capanna Karen prevede un soppalco poggiato su robusti pali conficcati nel terreno sottostante. Ai lati di questa piattaforma vengono eretti dei muri di stuoie intrecciate, che a volte arrivano fino al tetto, altre volte si fermano a metà strada, lasciando una parte della casa praticamente all’aperto.
Lo schema si ripete sempre allo stesso modo con poche varianti significative. Ci sono abitazioni più complesse che risultano dall’unione di più piattaforme, forse un tempo separate una dall’altra, e riunite da camminamenti e passarelle in un secondo momento. Alcune mostrano ancora gli antichi stupendi tetti di foglie di banani così caratteristici; altre si affidano alla copertura delle più resistenti, seppure orribili, lamiere metalliche industriali. Quasi tutte hanno un ingresso sopraelevato, raggiungibile da scale di legno. Alcune, le meno malandate, possono vantare anche una specie di veranda a gettante coperta, sotto cui pascolano maiali e altri animali domestici.
La nostra zona notte era il secondo piano di una capanna piuttosto grande. Coperta ma senza praticamente alcuna protezione, a parte una stuoia che la circondava da ogni lato. Il piano inferiore era occupato dai nostri ospiti, che tuttavia non si sono mai fatti vedere, e da un certo numero di galline e anatre, oltre naturalmente qualche cane più o meno randagio. Per raggiungere questo soppalco bisognava salire una scala di legno piuttosto ripida priva di ringhiera. Ma per arrivarci bisognava passare attraverso una coltre di fango alto almeno 20 centimetri, cosa che ci ha lasciati un po’ interdetti.
Una volta sopra, abbiamo scoperto che i nostri letti non erano altro che delle zanzariere appese al soffitto montate al di sopra di due sacchi a pelo lerci e logori da fare paura. Tutto qui. L’agenzia, evidentemente, non aveva badato a spese… Se ne sono accorti anche gli australiani, fino a pochi minuti prima così spensierati e strafottenti. Le loro espressioni hanno spaziato in pochi minuti da tutte le sfumature del disappunto a quelle della delusione più cocente. E la notte era appena agli inizi…
Continua a leggere…