Il mio unico, breve, faticoso trekking nella giungla

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La guida Gnam

Una volta smontati, abbiamo conosciuto la nostra guida per il prosieguo del trekking. Era un tipo piccolo e nervoso, con il caratteristico volto abbronzato del contadino e i capelli nerissimi ed esageratamente lunghi. Francamente al primo acchitto non ci ha dato una buona impressione. Non ricordo il suo nome, ovviamente, ma da ora in poi lo chiamerò Gnam (è il suono che ripeteva quando gli chiedevamo come si chiamava). Gnam sembrava più un delinquente strappato al commercio di eroina grezza che una rispettabile guida forestale con tanto di tesserino.

Anche il modo in cui si abbigliava non deponeva in suo favore. Indossava una specie di voluminosa sacca sulle spalle che avrebbe potuto contenere, per quanto ne sapevo, un AK47 o qualcosa di simile. Portava in testa un cappellaccio stile australiano di una misura più grande che gli copriva gran parte della fronte e gli occhi; vestiva una canottiera attillata e bermuda militari; ai piedi indossava due logore infradito che avevano vissuto tempi migliori.

E a proposito delle sue calzature, subito mi è sorto un interrogativo: ma come farà questo individuo a camminare su sentieri scoscesi e viscidi, ad attraversare guadi torrenziali, a percorrere ponti sottili e instabili, con quelle misere infradito? La risposta l’ho ottenuta quasi subito, non appena ci siamo messi in cammino. Ho notato che lui – come del resto molti altri da quelle parti – calzava l’infradito utilizzando il dito mignolo del piede come una sorta di gancio che faceva presa sulla parte esterna della suola. Una posizione quasi innaturale, per noi gente di città, ma oltremodo pratica. Con i mignoli così disposti, infatti, era quasi impossibile perdere le calzature anche nei luoghi più impervi.

Seconda tappa: la foresta collinare

La prima parte della passeggiata si è svolta senza troppi problemi. Il sentiero che percorrevamo, infatti, era largo e non eccessivamente accidentato. Il clima, inoltre, non ci dava noie, a parte il caldo soffocante in alcuni punti della foresta in cui l’aria circolava appena. Ma tutto sommato niente di così difficoltoso.

Il primo ponticello del nostro trekking nella foresta

Neppure il tempo di rallegrarci per l’inaspettata semplicità del percorso che arriva il primo ostacolo della giornata: un ponte di legno. A dire il vero, come dimostra la foto, si trattava di un’asse fissata su due tronchi paralleli e appoggiata appena sulle due sponde del torrente. Un semplice passamano di bambù era l’unica concessione alla sicurezza. Inutile dire che io e mia moglie siamo rimasti un po’ perplessi, e questo anche dopo che Gnam ci era passato sopra con la leggerezza di un passerotto. Quella stretta passarella, infatti, non sembrava poter reggere il peso di un occidentale ben pasciuto e carico all’inverosimile di attrezzatura tecnica!…

Come spesso succede in queste occasioni, bisogna grattare il fondo di se stessi per trovare un po’ di coraggio. E a volte lo stimolo giusto arriva da un mix di ragionamento, istinto e pura follia che in nessun’altra circostanza verrebbe fuori. Per noi, la spinta ad affrontare l’attraversamento è venuta dall’atteggiamento dei nostri compagni di viaggio. I quattro ragazzi, infatti, senza neppure pensarci due volte, si sono disposti in fila indiana e hanno attraversato il ponticello. Con una sicurezza e rapidità da far invidia a un autoctono. Rimasti indietro, non potevamo indugiare più a lungo, e anche noi, tra mille ansietà e con passo decisamente più incerto, abbiamo affrontato l’ostacolo.

Il ponte, a dire il vero, era più solido di quanto temessi. Non ha traballato né ha dato segnali di poter cedere, malgrado il mio passo pesante. Anche mia moglie ha ammesso che non era stato poi così spaventoso. Ma era solo la prima prova. Non potevamo immaginare, infatti, che il ponte appena attraversato fosse anche l’unico vero ponte che avremmo affrontato. In seguito, infatti, avremmo incontrato semplici tronchi gettati tra una sponda e l’altra di torrenti che, man mano che procedevamo verso l’alto, diventavano sempre più impetuosi e pericolosi.

Da questo momento in poi la foresta ha iniziato a chiudersi progressivamente su di noi. Man mano che procedevamo, le piante di ogni specie e dimensione aumentavano in numero, grandezza e densità, e si avvicinavano sempre di più al sentiero. Gli alberi si infittivano e tra essi iniziavamo a scorgere parecchi ficus e baniani dalle enormi radici aeree. Il sentiero si restringeva ad ogni passo e diveniva maggiormente accidentato. In breve, ci siamo trovati ben presto a camminare in silenzio, uno dietro l’altro, senza più badare al paesaggio che ci circondava ma solo a dove mettevamo i piedi. E l’unico rumore che si sentiva, a parte lo stridio delle cicale, erano i nostri respiri pesanti.

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