E’ indubbio che il principale motivo di una visita a Luang Prapang dovrebbe essere il grandioso complesso templare di Wat Xieng Thong. Non solo perché è il centro cardine della spiritualità laotiana, ma anche per conoscere le diverse strutture architettoniche che lo compongono, tutte di eccelsa qualità e fattura. Eppure i turisti che si incontrano al complesso sono mediamente molto meno di quelli che vanno a zonzo per la città di giorno e di notte. Sembra quasi che il monastero sia una meta la cui visita si può sempre rimandare, preferendo trascorrere il proprio tempo nei trastulli tipici di questa serena cittadina del Laos.
Ciò significa, in poche parole, che il Wat Xieng Thong non è quasi mai affollato. Si trova alla fine della penisola alla confluenza tra i due fiumi Nam Kham e Mekong. Una posizione privilegiata e spettacolare, perché consente di dare uno sguardo anche al panorama tutto intorno, di una bellezza sconvolgente, specie quando il cielo è limpido e il sole splende. Cosa che non è successo quando ci siamo andati noi, ovviamente. La pioggia ci ha martellato impietosamente per tutta la durata della visita, dandoci tregua – guarda caso – solo quando entravamo in un tempio e riprendendo quando ne uscivamo…
Ad ogni modo, il complesso è collocato su una specie di terrazzamento sopraelevato, raggiungibile da ingressi laterali; l’area è a pagamento e costa (o costava, nel 2013) 20.000 kip. Il Wat Xieng Thong appare subito in tutta la sua grandiosa eleganza. E’ un edificio davvero affascinante, con i suoi tre tetti sovrapposti a spiovente, l’ultimo dei quali arriva fino a terra. Si tratta del tipico stile laotiano, riscontrabile in altre varianti e forme anche altrove nel paese. Ciò che lascia attoniti è la ricchezza elaborata e un tantino eccessiva delle decorazioni, interne ed esterne. L’ingresso, per esempio, è un trionfo di ricami d’oro su sfondo nero, qualcosa di talmente elaborato da non temere concorrenti in tutta l’Asia. I motivi e i modelli grafici si ripetono anche all’interno, dove le zone a sfondo nero si alternano a zone a sfondo rosso, determinando un gioco di colori e luci strabiliante. Enormi colonne (di legno), anch’esse finemente decorate, sostengono il soffitto a spiovente, tanto elevato che neppure le luci elettriche riescono a svelarne i dettagli.
Oltre alla grande statua di Buddha, custodita in fondo all’ambiente principale, troneggia da una parte un monumentale gong rituale che sembra molto antico. I turisti possono liberamente suonarlo percuotendolo con una mazza molto pesante. Mia moglie ci è riuscita appena e non ha prodotto che un flebile rumore metallico.
L’altra attrazione del monastero è collocata sulla sua parete posteriore. Si tratta dell'”L’albero della vita”, un enorme mosaico a vetri e specchi colorati che racconta la fondazione del tempio. Molto interessante, non c’è che dire, ma non è propriamente antico come il resto dell’edificio. Risale infatti agli anni Sessanta del secolo scorso.
Intorno al Wat Xieng Thong sorgono numerosi edifici che meritano una visita. Per esempio l’Hohng Kep Mien, la costruzione a forma di tempio che si vede nella foto sopra. Non si tratta di un tempio. E’ piuttosto una rimessa, un garage, in cui viene custodito il grande carro funebre reale. La facciata è comunque degna di attenzione: è composta da pannelli di legno di teak scolpiti e decorati in oro, con scene che si riferiscono all’elaborata mitologia induista. L’interno è quasi tutto occupato dal grande carro funerario, costruito a forma di barca, anch’esso finemente decorato a rilievi dorati, la cui prua presenta 7 Naga, o serpenti sacri, con le fauci spalancate in un atteggiamento minaccioso. Il centro è occupato dalle tre enormi urne funerarie e il tutto poggia, abbastanza prosaicamente, su 6 ruote da camion piuttosto usurate.
Dietro al carro, in posizione opposta all’ingresso, si può ammirare una collezione di Buddha dorati all’apparenza molto antichi. E’ un assaggio di quanto poi si potrà ammirare in un altro luogo famoso del Laos, le grotte sacre di Pak Ou. Di questo luogo, e come ci si arriva, ne ho parlato in questo post.
Infine, l’ultima curiosità alla quale riservare qualche momento di attenzione sono i due edifici minori che si trovano dietro al monastero. Custodiscono anch’essi reliquie e statue sacre di inestimabile valore, naturalmente, ma il motivo per cui sono famosi è un altro. Basta dar loro un’occhiata, anche frettolosa, per rendersene conto senza neppure consultare la guida. Ciò che li rende così tipici sono i mosaici a specchi colorati che ne ricoprono le pareti.
Questi mosaici descrivono in forma molto semplice e allo stesso tempo dettagliata la vita quotidiana in un villaggio di un secolo fa. Si vedono scene di caccia, pesca, agricoltura nonchè momenti di vita sociale, come processioni, mercati, visite tra vicini, ecc.. Non mancano le scene di battaglia, dalle quali si apprende che gli antichi laotiani, come gli indiani, utilizzavano anch’essi gli elefanti. La trama delle situazioni descritte è così elaborata che non riesci più a staccare gli occhi dalla parete, perché da un momento all’altro può spuntare un dettaglio buffo, o una trama rivelatrice di un fatto particolare, magari storico. Posso assicurare che ce n’è da guardare per ore e ore. Solo la pioggia, nel mio caso, mi ha distolto da questo piacere, costringendomi a raggiungere il patio coperto di un tempio per trovare scampo.