Passeggiando per le vie di Lijiang capiterà senz’altro di osservare uno strano fenomeno commerciale: il negozio di bongos e strumenti musicali. Sulle prime non ci si farà caso. Le attività commerciali di Lijiang sono numerosissime e coinvolgono quasi tutto l’arco costituzionale dei prodotti vendibili al dettaglio: chincaglierie, gioielli, ceramiche e porcellane, souvenirs di bassa lega, tappeti, dipinti, soprammobili, per non parlare delle innumerevoli rivendite di cibarie. Ma dopo un po’ non potrete fare a meno di notare che, ogni 4-5 esercizi, sorge un negozio di strumenti musicali. Con l’immancabile signorina, giovane e carina, che suona un bongo al ritmo di una canzone che dappertutto, ovunque si vada, è sempre la stessa!
Considerando quanti negozi ci sono, e facendo due rapidi conti, sembra quasi che il commercio di bongos a Lijiang sia l’attività più profittevole che ci sia. Più della vendita di carne secca o yogurt di yak. Un fenomeno che mi ha incuriosito e allo stesso tempo franstornato, perché non ho trovato una spiegazione allora come non ce l’ho oggi. Tutto ciò che posso fare è descrivere le mie senzazioni di allora, premettendo che si tratta di impressioni personali che possono benissimo non corrispondere alla realtà dei fatti. Tuttavia sono l’unico elemento che ho per spiegare ciò che ho visto.
Il negozio di bongos a Lijiang presenta tutte le caratteristiche del franchising. Ogni negozio è ricavato in un piccolo monolocale, in genere due metri per 3-4, e vende prevalentemente una varietà di strumenti musicali particolare: quelli a percussione. I bongos, come si vede in foto, la fanno da padrone. Sono di varie dimensioni e – immagino – prezzo. Alcuni finemente decorati, altri più dozzinali. L’attività è gestita da una sola persona, una attraente signorina che trascorre il proprio tempo suonando svogliatamente un bongo al ritmo di una canzone tradizionale. Questa musica, come accennato in precedenza, è sempre identica in ogni negozio. E non solo a Lijiang; anche a Shangri-La ho individuato un paio di posti come questo in cui si eseguiva la stessa litania.
Malgrado la diffusione capillare del negozio di bongos – che farebbe presupporre profitti altissimi – i clienti che lo bazzicano si contano sulle dita di una mano. E quei pochi sono interessati più ai cd musicali che agli strumenti in mostra. Qualche volta si intravede un gruppo di bambini ai quali viene offerta presumibilmente una lezione di percussioni gratuita, ma nulla di più. I genitori e la maggior parte dei turisti sono pochissimo interessati a questa attività commerciale che forse, un tempo, affondava le sue radici nella tradizione locale.
Altra curiosità: tutte le ragazze delegate alla vendita non sono del luogo ma appartengono all’etnia predominante in Cina, la han. Ci ho fatto caso e invito chiunque abbia la possibilità di farlo a prestarci un minimo di attenzione. Le ragazze locali sono Naxi; i loro tratti somatici sono inconfondibilmente tibetani: zigomi sporgenti, occhi più obliqui, pelle scura. Queste ragazze invece, come si vede nella foto, hanno tutte le caratteristiche dei cinesi del nord: pelle chiara, tratti regolari, naso più piccolo, ecc.. E sono tutte giovanissime, o almeno lo sembrano.
Ho pensato – con notevole dose di malizia – che fosse in atto un subdolo processo di assimilazione etnica a spese delle minoranze locali. In parole povere, che il franchisor impiegasse esclusivamente lavoratrici cinesi immigrate. Di contro, tutti gli altri esercizi commerciali di Lijiang sono decisamente in mano alla gente del posto, in prevalenza Naxi. Lo so, probabilmente sbaglio, ma non sono riuscito a darmi altra spiegazione. Per questo invito chi avesse informazioni più attendibili a farsi avanti, magari commentando questo post. Forse troveremo insieme una spiegazione plausibile…