Un evento come l’Esala Perahera non capita tutti i giorni. Questa grande festa religiosa, fulcro del buddismo cingalese, si svolge infatti ogni anno in un periodo sempre diverso. A volte in luglio, a volte in agosto. La scelta delle date dipende da complessi calcoli mistico-astronomici che non starò qui a descrivere perché francamente incomprensibili. Da un punto di vista più turistico, quindi, è difficile poter programmare un viaggio, dall’Europa, per trovarsi a Kandy proprio nella settimana giusta dell’Esala Perahera.
Come ho raccontato in questo articolo, scritto prima di partire, il mio intento primario era quello di giungere a Kandy proprio nei giorni della festa. Tutto l’itinerario, fin nei minimi dettagli, era stato studiato apposta. E’ inutile sottolineare che le mie aspettative erano molto alte, forse anche un tantino esagerate, e per certi versi sono state disattese. Ma non del tutto, perché l’atmosfera che si respira a Kandy durante i festeggiamenti è qualcosa di unico e irripetibile, e vale la pena affrontare disagi e sacrifici pur di esserci.
Ma cosa accade veramente durante l’Esala Perahera? Forse è il caso di raccontare come la città vive l’evento durante quella settimana cruciale.
L’Esala Perahera è la festa religiosa più importante del paese e per molti versi dell’intero sub-continente indiano. E’ una manifestazione in grado di far convergere a Kandy centinaia di migliaia di persone in appena 7 giorni. I fedeli provengono da tutte le parti dello Sri Lanka. Sembra quasi che il paese si svuoti all’improvviso per andare a intasare questa piccola e caotica città del centro dell’isola. Ma per un devoto buddista cingalese partecipare, almeno una volta nella vita, all’Esala Perahera, equivale al pellegrinaggio che i fedeli islamici compiono alla Mecca.
Tale afflusso produce inevitabilmente un aumento esponenziale della popolazione. La folla di pellegrini invade le vie della città, i giardini, le sponde del lago, i marciapiedi. Qualsiasi area libera, per quanto minuscola e angusta, viene occupata da un corpo umano che la presidia a costo della propria salute o incolumità personale. In alcune zone la densità di persone è tale che passarci attraverso sembra impossibile. Di conseguenza, intere aree della città sono letteralmente off-limits, perché la massa di gente che le occupa non permette alcun passaggio, se non forse agli elefanti e agli addetti della festa.
Ebbene sì, qui la regola è semplice: conquista il tuo fazzoletto di cemento e difendilo fino a sera, quando inizierà la processione sacra. La gente si dispone ordinatamente sui marciapiedi, colloca un lenzuolo o una asciugamano a terra, si ripara dal sole sotto gli ombrelli e aspetta. C’è chi costruisce addirittura delle piccole tettoie con teloni e pali improvvisati. Per i bisogni corporali o l’acquisto di cibo si ricorre a delle staffette familiari. L’importante è non lasciare incustodito neppure per un minuto il territorio occupato. Come i pinguini.
Muoversi in questo marasma, quindi, è una impresa quasi impossibile. Ai turisti non resta altro che lambire i compatti muri umani che sorgono ai lati delle strade, scorrerci accanto, sfiorarli appena, ma niente di più. E osservare quanto sia importante, per queste persone, essere lì proprio in quel momento, affrontando disagi e ristrettezze al limite della tortura. Molte di quelle persone, infatti, non hanno alcun alloggio in città. Dormono per terra, o nei giardini, senza mai perdere d’occhio il piccolo appezzamento di marciapiede che permetterà loro, la sera, di osservare il passaggio degli elefanti sacri.
Questi elefanti sono le star indiscusse della manifestazione. Durante il giorno sono tenuti in un largo spiazzo accanto al recinto del Tempio del dente d’oro. Vengono continuamente bagnati, nutriti, coccolati e offerti al pubblico per gli imprescindibili selfie. Tutti gli esemplari godono di una autentica venerazione. Non è quindi una sopresa che si formino perfino delle file per offrire del cibo o comunque accarezzare questi pachidermi considerati sacri. I turisti, di contro, conservano un atteggiamento più prudente, preferendo stare alla larga da zampe e zanne dei bestioni.
I quali saranno anche trattati alla stregua di idoli sacri, però una bella catena alla zampa, a volte due, ce l’hanno tutti. E’ l’aspetto più stridente di tutta la faccenda. Tutti i pachidermi sono letteralmente bloccati in pochi metri quadrati. Hanno intorno tutto ciò che serve per nutrirsi, bere e bagnarsi (molti sono parcheggiati vicino alle fontane) ma in realtà sono quasi impossibilitati a muoversi. Alcuni restano calmi e bonaccioni per tutto il tempo. Sopportano con serafica pazienza il via vai di gente attorno al loro e le attenzioni di cui vengono fatti oggetto. Altri appaiono decisamente più nervosi: si muovono avanti e indietro per quanto sia consentito dalle catene alle zampe, dando una impressione meno maestosa e più pietosa di sè.
Quando ci siamo andati noi, uno, in particolare, dondolava il testone da una parte all’altra, come se danzasse. La nostra guida ci ha rivelato che il povero animale continuava a ripetere il movimento che compieva la sera, durante la sfilata. Un movimento incessante, al limite dello schizofrenico, che ci ha procurato una grande pena. Inutile dire che questo elefante non godeva delle stesse attenzioni riservate agli altri. Instintivamente, chiunque, locale o turista, avvertiva che c’era qualcosa che non andava in lui. E lo evitava… religiosamente.