La principale attrazione turistica del Taman Negara è la sua stupefacente rete di passarelle che si diramano tra le chiome della foresta. Sono i famosi “Canopi”, ovvero percorsi sospesi che raggiungono un’altezza, in alcuni punti, di più di 40 metri dal suolo. Creati originariamente come luoghi di osservazione naturalistica, e quindi utilizzati solo dagli addetti ai lavori, oggi sono diventati uno degli svaghi più gettonati del parco. A tal punto richiesti da doverne contingentare l’afflusso. E’ permesso infatti attraversare le passarelle solo 4 o 5 persone alla volta e a una distanza di almeno 5 metri uno dall’altro.
Con il termine “Canopi” si intende la rete di rami e foglie che si estendono in cima ad un gruppo di alberi formando una specie di tetto. Una copertura, insomma, come quella di un baldacchino. Nel caso delle passarelle del Taman Negara, tuttavia, parliamo di veri e propri ponti sospesi che congiungono varie stazioni di posta, collocate in genere su enormi tronchi. Qui è possibile prendere fiato, guardarsi intorno, trovare un minimo di equilibrio stabile in vista della successiva passarella. Queste zone intermedie, chiamiamole così, sono in tutto 11 e a volte sono strutturate su due piani: si arriva ad un livello e si parte da un altro, magari posto qualche metro al di sopra. Ciò spiega la presenza di scale a chiocciola di metallo, all’apparenza molto instabili, che appaiono ogni tanto tra una stazione e l’altra.
Le passarelle sono molto strette, come si vede nella foto. Occorre camminare mettendo un piede esattamente davanti all’altro (come una modella, suggeriscono ironicamente i guardiani del parco), tenendosi ben stretti con entrambe le mani sulle corde laterali e restando sempre calmi anche quando iniziano a oscillare, spesso nel punto mediano dell’attraversamento. Viene caldamente sconsigliato di lasciare la presa, ma molti turisti (e io fra essi, lo confesso) cercano in tutti i modi di mettersi nei guai scattando foto, selfie, riprese video in movimento, pur di immortalare il momento.
Il percorso totale non supera i 500 metri, ma posso garantire che non si tratta proprio di una passeggiata. I primi due settori sono piuttosto brevi, probabilmente per dare modo ai visitatori di abituarsi all’altezza e prendere confidenza con gli stretti tavolati delle passarelle. Ma in breve le distanze si allungano e l’altezza inizia a diventare piuttosto elevata. Lo spettacolo è emozionante e allo stesso tempo sconvolgente; non adatto, in definitiva, a chi soffre di vertigini o è malato di cuore. Il baratro che si spalanca sotto i piedi, infatti, in alcuni punti è impressionante. Il suolo della foresta appare lontanissimo, appena visibile perché nascosto dallo spesso strato di fogliame che si interpone tra noi e il terreno. Gli alberi sembrano creature gigantesche che protendono i loro rami per parecchie decine di metri tutto intorno, intrecciandoli con quelli di altri alberi in cerca di luce e aria.
Malgrado le assicurazioni, gli avvistamenti di animali sono piuttosto radi. O perlomeno io ne ho visti pochini. Uccelli sì, molti, non facilmente individuabili, a meno di non trovarsi faccia a faccia con un bucero dal becco sproporzionato. Le uniche scimmie che abbiamo visto sono i soliti macachi dalla coda lunga e qualche isolato e timido presbite dagli occhiali. Per il resto, i rumori che giungono da ogni dove testimoniano che la foresta del Taman Negara è ben frequentata da animali di tutte le specie (si dice anche da tigri ed elefanti) e ciò è quanto basta.
Alla fine dei Canopi si scende dagli alberi e inizia il percorso di ritorno, ben segnalato, che conduce al punto di partenza, ovvero l’albergo Mutiara Taman Negara. Il percorso, tuttavia, prende una direzione più ampia del necessario, e questo per permettere di raggiungere un punto panoramico molto suggestivo da cui è possibile ammirare un’ampio avvallamento letteralmente tappezzato dalla foresta pluviale. Il posto è spesso molto affollato, perché rappresenta l’ultima tappa dell’escursione e allo stesso tempo dà modo di riposarsi qualche minuto, quindi non è facile trovare il punto ideale per scattare una foto decente.
Il ritorno alla base da qui in poi è piuttosto agevole: non ci sono più ripide salite da affrontare su terreni spesso viscidi e insidiosi; le passarelle in assi di legno diventano sempre più frequenti e non si rischia più di mettere i piedi in qualche pozza di fango nascosta sotto la vegetazione. La camminata può durare dalle 3 alle 5 ore, dipende dal grado di sfinimento accumulato durante le acrobazie effettuate sui canopi. In ogni caso, è un tragitto affascinante perché si inoltra in alcune aree della foresta pluviale che sembrano rimaste immutate da milioni di anni.
Al bar del campo base si incontrano spesso più animali di quelli avvistati all’interno della foresta. Sono creature opportuniste, che hanno compreso perfettamente che il bar e gli alberghi degli umani offrono opportunità di riempirsi lo stomaco molto maggiori rispetto alla selva tutto intorno. Fra questi ospiti non proprio desiderati, all’epoca della mia visita spiccavano due individui in particolare: un varano enorme, grasso come una botte, quasi ormai impossibilitato a muoversi; e un tapiro di altrettante notevoli dimensioni, peraltro molto più intraprendente nel cercare cibo direttamente dalle mani degli umani.