I luoghi di conservazione delle specie a rischio, a Bali, sono innumerevoli e quasi tutti svolgono il ruolo per cui sono stati realizzati. Come si può facilmente immaginare, le aree predisposte a questa funzione sono quasi tutte costiere, dato che molti degli animali in pericolo vivono nel mare o vicino a esso. Alcuni di questi luoghi sono visitabili, ovviamente, altri meno. Ce n’è uno, però, verso il quale convergono centinaia di turisti ogni giorno. Si tratta di Deluang Sari, una struttura situata a sud di Bali, su una penisola circondata da una rara quanto poco invitante spiaggia bianca. In teoria sarebbe un sito per la tutela delle tartarughe marine; in realtà si tratta di una sfacciata attività commerciale volta a lucrare sulle smanie ecologiste e i sentimenti di colpa dei visitatori.
Il sito viene comunemente chiamato “Turtle Island“, e già questa è una mezza truffa, visto che si tratta di una penisola. Per arrivarci, a meno di non alloggiare proprio da queste parti, occorre prendere una barca che parte dalla spiaggia opposta, ma è un passaggio che si paga caro e salato, quasi 60 euro a testa per poco più di un quarto d’ora di traversata! Ci si imbarca raggiungendo il battello direttamente al largo (non c’è fondale per parecchie decine di metri), quindi occorre disporre di pantalocini corti o costume da bagno. L’imbarcazione è provvista quasi sempre di un fondo trasparente, attraverso il quale è possibile ammirare la fauna e i coralli sottostanti. Pagando un piccolo supplemento, è possibile dare da mangiare i pesci e vederli azzuffarsi a pochi centimetri dalla chiglia.
Il centro di tutela e riabilitazione delle specie in pericolo, già al primo sguardo non comunica sensazioni positive. Sin da subito è evidente che la principale attività del posto non è esattamente quella di preservare le specie a rischio. Una vasta area, infatti, si presenta come un piccolo e maltenuto zoo improvvisato, con tanto di recinti e gabbie, la maggior parte delle quali strette e sporche. Qui si intravedono volpi volanti appese a testa in giù, scimmiette, una genetta, un bucero, un pitone, un gufo e una iguana, più altri animaletti non meglio identificati. A parte qualche fortunato, che per indole o scarsa attrattiva, viene lasciato in pace nella sua angusta prigione, tutti gli altri vengono estratti fuori senza cerimonie e utilizzati per realizzare foto con i turisti (ovviamente da pagare a parte).
Fra quelli che ricevono minori attenzioni c’è il bucero che si vede qui sopra. Vive in una piccola gabbietta, da solo, e passa quasi tutto il suo tempo appiccicato alle maglie metalliche. Il motivo? Gli piaciono le coccole, anzi le adora, e le pretende in continuazione. Non appena un turista gli passa a tiro, inizia ad arrampicarsi sulla grata e così facendo attira l’attenzione. Il turista, se è coraggioso come mia moglie (è suo il braccio che si vede nella foto), infila senza indugi le dita nel reticolato e l’uccello, immediatamente, porge la parte che a quanto pare gli procura più godimento, ovvero il collo. Che a furia di essere accarezzato ha ormai perso gran parte delle penne!…
Ciò che dovrebbe giustificare l’esistenza stessa del centro è l’area predisposta alla tutela, conservazione e riabilitazione delle tartarughe marine. E’ composta da tre o quattro strutture, alcune al coperto, che ospitano esemplari di varie specie di tartarughe in vari stadi del loro sviluppo. Purtroppo si tratta quasi sempre di edifici fatiscenti, interamente occupate da vasche putride e sporche. Quelle più grandi sono affollate da parecche decine di tartarughe, che si ammassano l’una sull’altra e non sembrano avere neppure lo spazio per nuotare liberamente.
Questa condizione è evidente quando si avvicina un turista per dar da mangiare alle tartarughe – pratica questa benevolmente incoraggiata dai guardiani del centro. Si tratta di alghe marine, beninteso, ma i poveri animali sembrano non aspettare altro: non appena vedono il turista scavalcare il parapetto, si ammucchiano tutti vicino al bordo e inizia una vera e propria battaglia condotta a colpi di zampe e beccate con lo scopo di acquisire la posizione migliore rispetto al cibo. Ciò che ne consegue è una rissa furibonda che fa spumeggiare l’acqua, produce orribili cozzi tra i carapaci, spaventa il turista, che per timore di esserne coinvolto preferisce gettare tutte le alghe in acqua e scappare via.
Un’altra zona controversa è quella dedicata all’allevamento dei piccoli di tartaruga. E’ un vascone poco profondo, anch’esso piuttosto male in arnese, in cui galleggiano, non si sa se vivi o morti, alcune decine di esemplari. L’intento dichiarato è quello di reinserirli in natura quanto prima, ma fin da subito non sembra essere questo lo scopo primario. Viene incoraggiata infatti la seguente pratica: pagando l’equivalente di 20 euro è possibile scegliere un tartarughino e rilasciarlo in mare aperto. La chiamano “Adotta una tartaruga”, ma è evidente che finché il tartarughino non viene riscattato, nessuno si sogna di liberarne uno gratuitamente. E così passano gli anni e gli animali sopravvisuti, ormai inadatti a restare nella vasca dei cuccioli, passano mestamente in quelle esterne, ad azzuffarsi tra di loro per un rametto d’alga stantio.