Smaltito lo shock del mancato arrivo di Giovanna e Giovanni, i nostri sfortunatissimi compagni di viaggio, io e mia moglie Paola ci siamo trovati di fronte alla cruda realtà. Eravamo soli e per quanto sperassimo in un miracolo dell’ultimo minuto, era evidente che non avremmo realizzato quel viaggio in compagnia di altre persone. Dovevamo quindi prendere una decisione.
Ciononostante, la prima e più istintiva mossa, presa di comune accordo, è stata di non allontanarci troppo da Casablanca, almeno per il primo giorno. Pensavamo ancora, ma sempre con meno convinzione man mano che passava il tempo, che i due nostri amici, in un modo o nell’altro, ci avrebbero raggiunti. Quindi s’imponeva per noi l’esigenza di non allontanarci dall’aeroporto.
Mi ricordo che, con il pretesto di fare benzina (abbiamo trovato la macchina praticamente a secco, malgrado le clausole del contratto di noleggio), ci siamo trasferiti presso un elegante autogrill posto sull’autostrada che collegava Casablanca e il nord del Marocco. Laggiù, sempre aspettando quella famosa telefonata, ci siamo dedicati a tutto ciò che può far passare il tempo nel modo più improduttivo e costoso possibile: abbiamo mangiato, visitato ben due volte il piccolo market, preso il caffè, cambiato qualche euro, ripreso un altro caffè, consultato la guida di viaggio… Intanto il tempo passava e notizie (positive) non ne arrivavano.
Infine, ecco giungere finalmente la telefonata risolutiva. I nostri amici, per quanti sforzi avessero compiuti, non erano riusciti a cavare un ragno dal buco. Le burocrazie concomitanti di Italia e Marocco impedivano loro di poter disporre dei documenti di viaggio in tempi relativamente rapidi. Quindi non sarebbero partiti, né quel giorno né quello successivo. La vacanza, per loro, era sfumata. Giovanni, con voce rotta dall’emozione (e dalla delusione) ci ha dato il via libera definitivo. Potevamo lasciare Casablanca. E iniziare – da soli – il nostro viaggio in Marocco.
A questo punto – erano le cinque del pomeriggio – avevamo poche alternative valide. O restare a Casablanca per la prima notte e spostare il programma di viaggio in avanti di un giorno, con il rischio di perdere qualche tappa importante; oppure rischiare tutto e raggiungere, come da programma, Meknes, la prima meta del nostro itinerario. D’altronde, consultando la cartina, la città in questione non sembrava poprio irrangiungibile. Poco più di 230 chilometri, in gran parte di comoda autostrada. Pertanto abbiamo deciso di raggiungere Meknes e trascorrere laggiù la prima notte in Marocco.
L’autostrada da Casablanca a Rabat era scorrevole e direi perfino gradevole. Poche automobili, qualche camion strapieno di merci, poca o nulla polizia. L’unica nota stonata, valida per qualsiasi strada marocchina, era costituita dal rispetto dei limiti di velocità. La guida Lonely ci aveva avvertito: attenzione a non superare i limiti, in Marocco la polizia stradale è piuttosto severa e non è raro che possano appiopparti multe astronomiche (con mazzetta annessa). Terrorizzato da ciò, ho condotto l’auto ad una velocità di crociera direi estremamente prudente, e il viaggio si è prolungato oltre il tempo che avevo previsto.
Ad ogni modo, passata Rabat e presa la deviazione per Meknes, la strada è divenuta ancora più deserta. Le colline sono divenute sempre meno verdi e hanno iniziato a coprirsi di aree a pascolo dove, di tanto in tanto, si intravedevano delle tende nere circondate da greggi di capre e asini. Devo dire che, malgrado la fretta di arrivare, non ho potuto fare a meno di fermarmi un paio di volte per scattare qualche foto. Il paesaggio che avevo davanti era proprio ciò che immaginavo di poter ammirare, una vola giunti in questa parte dell’Africa. La vastità degli ambienti, il colore del cielo, così azzurro e terso, il contrasto con le zone più aride, caratterizzate da una colorazione giallo-ocra davvero affascinante… Tutto ciò mi ha rapito a tal punto da farmi perdere ulteriore tempo.
Quando finalmente siamo arrivati a Meknes erano ormai le 19 passate. Il sole restava ancora alto sull’orizzonte, è vero, ma era chiaro che da un momento all’altro saremmo piombati nel buio. Tuttavia, nella disperata ricerca di un albergo, abbiamo compiuto un giro che ci ha fatto perdere ulteriore tempo. Prima siamo entrati in città, laddove sorge la famosa porta della medina. Ma non potevamo sostare (un nugolo di poliziotti ci ha subito circondati) e quindi siamo dovuti scappare via. Poi abbiamo iniziato a circumnavigare le mura della città, peraltro magnifiche e ben conservate, senza tuttavia trovare neppure un albergo decente intorno ad esse. Infine, prendendo una strada che pensavamo riconducesse in città, e invece andava in direzione opposta, ci siamo trovati nel pieno centro di un quartiere dormitorio piuttosto malmesso e senza l’ombra di un alloggio qualsiasi per turisti.
Quando finalmente abbiamo intravisto l’insegna di un albergo Ibis svettare su una collinetta posta proprio di fronte alla città, allora abbiamo capito che non avevamo più alternative valide. Per quella notte avremmo alloggiato nel tre stelle standard della compagnia di alberghi francese. A prezzi che, tutto sommato, non erano proprio inaccessibili, come ci siamo accorti nel proseguo del viaggio. Arrivati davanti all’albergo alle 20:30, stanchi e sfiduciati, ci siamo sentiti risollevati quando abbiamo visto il panorama che avevamo di fronte alla nostra finestra, quello dell’immagine sopra. Non proprio male, per iniziare un viaggio che aveva preso una piega così inaspettata e sfavorevole.