Malgrado le numerose attività che impegnano gran parte della giornata, durante le crociere i periodi di stanca sono piuttosto frequenti. Sono momenti per così dire “fisiologici”, dedicati allo svolgimento di operazioni necessarie e imprescindibili. La navigazione da un punto ad un altro dell’itinerario è uno di questi momenti. Le ore dedicate al riposo notturno sono un altro esempio. Come si occupa il tempo durante queste pause forzate?
Bisogna ammettere che bar e ristoranti sono la soluzione più semplice per occupare i tempi morti. Ma non puoi passare il tuo tempo “libero” bevendo cocktail (quasi sempre costosissimi), giocando a carte e guardando la TV. Occorre riempire le pause con qualcosa di più produttivo e – possibilmente – divertente. Qualcosa che ti impegni davvero e allontani da te l’impressione di aver speso un mucchio di soldi per trovarti in una gabbia di matti con tendenze alcolistiche…
Devo dire che i responsabili di queste crociere ce la mettono tutta, chi più chi meno, per non abbandonarti a te stesso. Le attività in programma tra una visita e l’altra sono quasi sempre studiate con cura, meticolosamente distribuite nell’arco della giornata, accuratamente calibrate in base ai bisogni o alle aspirazioni degli ospiti. Ma è ovvio che, per quanti sforzi di immaginazione si facciano, alcune attività siano praticamente obbligate. Sono quegli svaghi – o presunti tali – che si ritiene funzionino sempre, o comunque per la maggioranza delle persone.
Per dare un’idea di cosa bisogna affrontare, mostro il programma delle attività e delle escursioni della mia recente avventura nella Baia di Ha Long. Il foglio che si vede sopra riassume, in due paginette fitte fitte di orari e impegni, tutte le cose da fare, rispettivamente, in due e tre giorni di viaggio. Ce n’è per tutti i gusti. Si potrebbe affermare che nessuno, per quanto esigente, potrebbe trovarci qualcosa di cui lamentarsi.
Mangiare in continuazione
L’attività che assorbe la maggior porzione di tempo libero è quella del mangiare. Sembra quasi che l’unica distrazione decente sia quella di ingurgitare più cibo possibile negli orario più improbabili. E se il pasto è ben accompagnato da un’abbondante offerta di bevande alcoliche, è meglio! La nostra crociera offriva tre pasti al giorno, più numerosi spuntini, distribuiti nel corso della giornata. Il bar era praticamente aperto 24 ore su 24. Non esisteva quindi un solo momento in cui non avessimo l’opportunità di mettere qualcosa sotto i denti. Il che si traduceva, a lungo andare, in una continua, pressante, indefinibile sensazione di aver sempre bisogno di masticare qualcosa, anche poche ore dopo aver terminato di mangiare…
I due orari fatidici dei pasti principali, in particolare, sembravano evidenziare tale dipendenza. La gente iniziava a radunarsi nel salone principale molto in anticipo rispetto all’orario prefissato. Sulle prime si trattava di un andirivieni rilassato e noncurante: alcuni ospiti facevano capolino nella sala, si guardavano intorno con malcelata indifferenza, controllavano che i due tavoli principali non fossero già imbanditi e – delusi dal risultato di tale controllo – sparivano furtivamente dalle porte laterali.
Tale atteggiamento tendeva ad intensificarsi man mano che si avvicinava l’orario del pasto. Le persone che arrivavano erano sempre più numerose e impazienti. I camerieri avevano il loro ben da fare per apparecchiare i tavoli e rifornire i contenitori di cibo cercando di driblare gli ospiti affamati. Molti prendevano posto ai loro tavoli senza neppure aspettare che fossero pronti!… La verità, a parte le forzature ironiche, era che quel salone era l’unico posto fresco di tutta la nave. L’alternativa era quella di restare rintanati nella propria cabina, cosa che pochi di noi avrebbero tollerato.
La stessa scena, con qualche variante di poco conto, si ripeteva la sera. Ma qui l’impazienza era sagacemente posta sotto controllo dall’attività forse più divertente dell’intera crociera: la lezione di cucina vietnamita.
Una lezione di cucina vietnamita
In sostanza si tratta di una dimostrazione di come si preparano i celebri spring rolls vietnamiti, uno dei piatti più diffusi e gustosi di tutto il paese. Una prelibatezza su cui gli organizzatori ripongono cieco affidamento, data la popolarità di cui gode fra i turisti. La lezione quindi è un’occasione per rendere partecipi gli ospiti della grande tradizione culinaria vietnamita e, al contempo, tenerli impegnati mentre si aspetta che la cena sia servita.
La lezione a cui abbiamo assistito noi, quella sera di agosto, si svolgeva sul ponte principale dell’imbarcazione. La nostra guida tuttofare, una signorina minuta e svelta che parlava un inglese fluente, ci faceva da interprete con il cuoco della nave. Costui era un giovane dall’età indefinita che sorrideva continuamente ad ogni battuta malgrando avessi il sospetto che non capisse un’acca di ciò che ascoltava.
La prima dimostrazione di come si costruisce uno spring roll è stata quantomeno sconcertante. L’involtino semi-trasparente è stato assemblato con fin troppa rapidità e professionalità, tanto da lasciare un po’ tutti piuttosto scoraggiati. Le esili mani del cuoco sembravano volare sul tavolo. Nessuno, immagino, capiva esattamente qual era la sequenza esatta per riempire, imballare e chiudere quel piccolo cannolo di riso. C’è voluto l’intervento della signorina per riportare tutti con i piedi per terra. Il cuoco in primis, che infatti, dopo aver ricevuto un applauso poco convinto dai presenti, è stato rudemente congedato.
La ragazza ha iniziato pertanto a confezionare il suo bravo spring roll. Ma questa volta lo ha fatto quasi al rallentatore, spiegando ogni gesto con maniacale perfezione, a volte ripetendo le stesse frasi più di una volta. Inutile dire che il prodotto di tale operazione è risultato praticamente perfetto, anche meglio di quello appena realizzato dal cuoco. Poi ha invitato tutti a infilarsi i guanti e provare. E molti non se lo sono fatti dire due volte…
La lezione di cucina vietnamita ci ha impegnati molto quella sera, divertendoci e favorendo una più rapida socializzazione fra di noi. Gli spring rolls che venivano confezionati, in verità, non erano proprio da concorso di cucina. Uno, in particolare, realizzato da Sergio, è risultato un enorme sigaro cubano da cui gli ingredienti fuoriuscivano disordinatamente da entrambi i lati. Un pezzo da novanta che ha suscitato l’ilarità generale. Tutti gli involtini, disposti sui piatti da portata, sono stati poi consumati dai presenti. Costituivano, in buona sostanza, una specie di antipasto che gli ospiti hanno mostrato di apprezzare molto. Specie se accompagnato da una buona birra fresca…
La pesca al (fantomatico) calamaro
Un’altra delle attività serali, questa volta post-cena, è la sedicente pesca al calamaro. Dovrebbe essere uno dei momenti più gratificanti di tutta la serata – almeno per un pescatore come me – ma si riduce ad una colossale quanto deludente perdita di tempo.
La verità è che i calamari, semmai ne esistano ancora in un bacino sfruttatissimo e affollato all’inverosimile, sono piuttosto restii a farsi allamare. E d’altronde, non si capisce come è possibile catturarne uno con la dotazione che quasi tutte le navi forniscono ai propri clienti. Recandosi a poppa, infatti, ci si imbatte in tre o quattro cannucce (vere canne, a volte) che penzolano tristemente nel vuoto. Sotto, a circa 2 metri, il mare è illuminato da un paio di fari che dovrebbero – in teoria – attirare i cefalopodi in superfice. Tutto ciò che resta da fare quindi è gettare la lenza in acqua e sperare nel tocco.
L’idea di poter pescare così facilmente qualsiasi cosa tramite una lenza e un’esca artificiale riempe di entusiasmo quasi tutti. E bisogna dire che sono proprio coloro i quali non hanno mai pescato veramente a coltivare l’illusoria speranza di poter prendere qualcosa. Uno sguardo attento all’esca, per esempio, dovrebbe far passare qualsiasi velleità. Le tre canne che ho trovato io quella notte vietnamita avevano ai loro estremi degli artificiali piuttosto usurati e poco allettanti, anche per un pesce con una fame atavica. Un’altra canna esibiva perfino un cucchiaino argentato, esca poco adatta al genere di cattura a cui ci stavamo dedicando.
La vicenda si è conclusa piuttosto rapidamente, come era ovvio aspettarsi. Di tocchi non ce ne sono stati. Le canne, malgrado la buona volontà di tutti, sono restate inerti per tutto il tempo in cui ho assistito alla pesca. E tutti, gradualmente, alla fine si sono stancati. Nel giro di tre quarti d’ora il ponte è tornato ad essere deserto e triste come lo era poco prima. E i calamari, semmai ce ne fosse davvero qualcuno, sono probabilmente tornati in fondo al mare ad impiegare il loro tempo in modi senz’altro più produttivi.
Lo yoga mattutino
L’ultima delle attività che segnalo – e che non manca mai in qualsiasi luogo di assembramento turistico – è la ginnastica mattutina. Si può dire che è un appuntamento fisso a cui ci sottoponiamo quasi sempre con scarso entusiasmo. Lo facciamo per le motivazioni più strane, è vero, o solo per andar dietro alle mode salutistiche di questi tempi. In ogni caso, è difficile dissociarsene, magari prendendo a pretesto il desiderio di dormire qualche minuto in più o gli acciacchi dell’età.
Anche in Vietnam siamo stati invitati a questa condanna mattutina. Ma laggiù, complice il programma, che stringeva i tempi morti a pochi minuti al giorno, la lezione si svolgeva alle 7:00 del mattino! Un orario francamente poco indicato per andare ad agitarsi sul ponte di una nave avvolta nell’opprimente nebbia mattutina del tropico del Cancro. Pertanto è stato facile rifiutarsi, almeno per me. Ma qualche signora non ha voluto sottrarsi a questo rito salutistico estremo.
Quando finalmente sono salito sul ponte mi sono accorto che alcune persone, in fondo, il più possibile all’ombra, si agitavano e sudavano copiosamente. I movimenti erano lenti e misurati, e ciò non era probabilmente dovuto al tipo di ginnastica eseguito. Probabilmente – ho pensato con un velo di malizia – il gruppo di signore stava semplicemente economizzando sulle energie, evitando di dimenarsi troppo. Con quella temperatura non era consigliabile. Le ho viste pertanto finire gli esercizi senza mostrare particolare entusiasmo e poi, al “liberi tutti”, scappare via verso le rispettive cabine trafelate e bagnate come se avessero seguito una lezione di nuoto.
Una donna spagnola, in particolare, mi ha colpito. Rispetto alla sera prima, in cui l’avevo ammirata per la sua bellezza ed eleganza, adesso mi è apparsa come una povera disgraziata oppressa dalla fatica e dai dolori. Mi è passata davanti curva, rinsecchita, con un volto irriconoscibile per quanto fosse rugoso e arcigno… Poi mi sono accorto che era l’effetto del trucco mattutino, ormai rovinato dall’umido e dal calore. I nostri sguardi si sono incrociati un attimo. E solo allora ho intravisto, dietro la maschera di sofferenza, una scintilla di amara consapevolezza che suonava, grossomodo, così: “ma chi me l’ha fatto fare?”…