E’ la prima domanda che ci si fa una volta che scende la sera a Shangri-La. Cosa fare adesso? Dove andare? Come passare il tempo prima di recarsi a dormire in albergo? Ci si guarda intorno e la risposta non è per niente rassicurante. Shangri-La non è proprio quello che si definisce un luogo mondano. All’apparenza sembra spegnersi lentamente con il passare delle ore e all’imbrunire ci sono aree che sembrano prive di vita.
Questa situazione può apparire deludente e un tantino paradossale, è vero, perché dopo tutti i sacrifici fatti per arrivare fin qui ci si aspetterebbe qualcosa di meno desolante. Si ha in corpo ancora l’adrenalina del viaggio appena compiuto, l’enorme soddisfazione di essere riusciti ad arrivare, il piacere incommensurabile di sentirsi in capo al mondo… Non si può andare a letto presto, no davvero! Bisogna assolutamente trovare qualcosa da fare.
A parte le danze serali, che si svolgono in un paio di piazze e che terminano con il buio, Shangri-La non offre molto di più di qualche ristorante e l’interminabile sequenza di negozi di souvernirs che restano aperti fino a tarda notte. I locali notturni, propriamente detti, sono rari e difficili da individuare. Ce n’è solo uno, in realtà, che conserva una certa atmosfera occidentale. E’ collocato dentro un edificio in legno, in un angolo della piazzetta principale, quella con lo stupa decorato al centro. E’ un locale che lavora a tempo pieno, dalla mattina alla sera, assicurando colazioni all’americana la mattina, pasti veloci durante il giorno e birra a profusione la sera. Si caratterizza per un magnifico balcone, proteso sulla piazza, su cui sono disposti pochissimi (ambitissimi) tavoli. E’ anche l’unico posto dove è possibile ascoltare musica dal vivo.
Il resto dell’offerta di divertimento si riduce ai ristoranti. Ce ne sono molti, ben distribuiti, all’interno dell’intricata rete stradale cittadina, e sono quasi tutti tibetani. La cucina tibetana, infatti, è considerata una vera prelibatezza dai cinesi. Yogurt e carne di yak sono gli ingredienti fondamentali di questa millenaria cultura culinaria che può vantare alcune specialità davvero squisite. Come l’hot pot di yak e verdure, il piatto di gran lunga il più reclamizzato da tutti i ristoranti di Shangri-La. Un richiamo al quale è difficile resistere, lo ammetto, specie quando un certo languorino, probabilmente causato dall’altura, comincia a farsi sentire. E anche noi, una sera, abbiamo deciso di spendere qualche yuan in più per assaggiare questa pietanza tanto celebrata.
Per non farci mancare nulla, abbiamo scelto proprio il ristorante più famoso tra quelli indicati nelle guide di viaggio, l’Ancient City Yak Meat Restaurant: un nome, una garanzia… Il locale è di facile individuazione perché si trova proprio all’inizio della strada che dalla piazza principale sale verso il centro della cittadina. Ogni giorno espone un cartello in cui sono indicati i piatti del giorno. L’hot pot di yak non manca mai, è il re dei piatti tibetani. Il costo è piuttosto salato, a dire il vero, ma si tratta di un sacrificio che vale la pena affrontare una volta nella vita. E poi, quando ti capita di nuovo?
La nostra pietanza, appena portata e ancora fumante, è quella che si vede nella foto. Come si può notare, non si tratta di un un hot pot tradizionale, alla cinese, per così dire. Qui gli ingredienti di contorno sono stati immersi nel brodo direttamente dal cuoco, lasciati cuocere quanto basta, e poi affiancati da straccetti e pezzi più consistenti di carne di yak. A differenza del huoguo cinese classico, quindi, al cliente non viene richiesto di cucinarsi il pasto da solo. La colorazione chiara è una panna acida estratta anch’essa dal latte di yak. Il piattino vicino alla birra è il tipico antipasto tibetano: piselli secchi tostati che la gente del posto sgranocchia in continuazione, accompagnandoli con grandi quantità di birra, aspettando che arrivi la cena.
Quanto alla carne, l’avevamo già provata a Pechino nel 2010 in uno dei più famosi ristoranti tibetani della capitale. Lì però assaggiammo le costolette e le bistecche di yak, marinate e cotte alla brace. In questo caso invece la carne è stufata in un brodo delicato, ammorbidito dalla panna acida, direi perfino dolce. La carne ha un sapore meno forte di quando è cotta alla brace e risulta meno tenera e più fibrosa. Il segreto è di non gettarsi come lupi affamati sulla pietanza ma di attendere, lasciare che lo yak ceda al brodo i propri effluvi, così come le verdure. Se si ha la pazienza di aspettare, il risultato non potrà che essere soddisfacente.