E’ nella natura di un viaggio fai-da-te trovarsi a volte di fronte a situazioni che potrebbero definirsi critiche. Fa parte del gioco, per così dire, dal momento che ogni step della vacanza dipende solo in parte da te, e molto da fattori esterni imprevedibili, dalle necessità del caso, dalla fortuna. A ciò si aggiunge quel pizzico di imponderabilità che rende questo tipo di viaggi così eccitanti e allo stesso tempo molto complicati.
Fra tutte le complicazioni che ho dovuto affrontare, questo è l’episodio che mi ha fatto maggiormente preoccupare. Eravamo a Shanghai, ultimo giorno, in procinto di partire per lo Yunnan. Ci attendeva una lunga fase di trasferimenti che sarebbe culminata con l’arrivo all’aeroporto “domestico” di Shanghai, Hongqiao, dove avremmo preso l’aereo per Kumning. Niente di particolarmente difficoltoso, in verità. La rete metropolitana di questa città è infatti tra le più efficienti del mondo. Una linea, in particolare, collega tutti e due gli aeroporti, da capolinea a capolinea. Dovunque ti trovi, quindi, puoi raggiungere il tuo aeroporto semplicemente muovendoti sottoterra, senza bisogno di cambiare mezzo o prendere taxi.
Salutati Guido e famiglia, ripresi i bagagli dal deposito dell’hotel, io e mia moglie ci siamo avviati tranquillamente verso la prima tappa del nostro miniviaggio verso Hongqiao: la metro 13, direzione sud per 3 fermate; poi cambio sulla 3 per altre 3 fermate; infine trasbordo sulla 10 fino alla fermata prima del capolinea (altre 7 fermate). Grazie alla straordinaria frequenza di 3 minuti a treno, sarebbe stata una passeggiata. Che stava per tramutarsi in una mezza tragedia.
Alla prima stazione di scambio, Jinshajiang, scendendo l’ennesima scalinata trascinandoci appresso le valige, mi accorgo che sta per arrivare il treno. Non so perché mi prende la frenesia di precipitarmi giù per prendere al volo quel treno. Non ci sarebbe alcuna ragione di affrettarsi: siamo in netto anticipo, i treni sono frequenti, non vale la pena scapicollarsi giù dalle scale e rischiare magari di finire a gambe all’aria di sotto. Tuttavia, sarà l’abitudine tutta romana di rincorrere la metro per paura di perderla, un istinto insopprimibile mi costringe a prendere la decisione sbagliata. Urlo a mia moglie di sbrigarsi e mi precipito giù. Avverto dei passi frettolosi dietro di me, li attribuisco a Paola che presumo mi stia seguendo da presso, mi infilo convinto nel primo vagone disponibile. Ma quando mi giro, mi accorgo che le porte si stanno chiudendo e che mia moglie non c’è! La vedo arrivare trafelata e disorientata trascinando il suo trolley ma ormai inesorabilmente esclusa da quella corsa.
Non so come ho avuto il sangue freddo di pensarci, ma subito ho compiuto un gesto della mano, tutto italiano, che prevede un movimento circolatorio in avanti, con un dito in evidenza, e che significa “dopo”. Nel mio caso, intendevo dire: “Ti aspetto alla prossima fermata”, ma non ero assolutamente sicuro che sarebbe stato interpretato in tal senso! Fatto sta che ho assistito ad una scena che non auguro a nessuno: mia moglie abbandonata su una banchina di una metro cinese, senza uno yuan, con il telefonino scarico, circondata dai bagagli, che mi guardava andare via… Non potrò scordare la sua faccia delusa e avvilita, lo giuro!
Non descrivo i 3 minuti scarsi di tragitto verso Zhongshan, la fermata dopo, perché sarebbe inutile; nè i 7 minuti che sono trascorsi da quando sono sceso e mi sono posizionato in un punto centrale della banchina per facilitare, nel caso, la mia individuazione da parte di Paola. Non ero sicuro, infatti, che avesse capito “la prossima fermata”. Poteva aver interpretato quel gesto come “ci vediamo direttamente all’aeroporto”; oppure “ci vediamo alla prossima fermata di scambio”. In preda a mille dubbi e a uno sconforto che si faceva via via crescente col passare dei minuti, mi sono risolto di aspettare il prossimo treno e vedere cosa succedeva. Non avevo un piano B, speravo con tutte le mia forze che Paola avesse interpretato nel modo più semplice e banale il mio gesto.
Cosa che puntualmente è avvenuta, per fortuna. L’ho vista scendere esattamente dal vagone in cui avevo previsto sarebbe salita, cioè l’ultimo. Lei, i suoi bagagli e una buona dose di ansia che si è quasi subito stemperata non appena mi ha visto.
Morale della favola. Mai prendere al volo un treno della metro quando il prossimo è previsto tra tre minuti scarsi. Le cose fatte di fretta, con ansia, irrazionalmente, lasciamole alla vita di tutti i giorni e non portiamocele in vacanza.