L’area di Bagan è talmente vasta che il primo problema da affrontare è come percorrere le distanze al suo interno. I templi più importanti sono oggettivamente molto isolati e le strade che percorrono il parco a volte impraticabili. Come muoversi a Bagan, quindi?
Oggi vedo immagini di mongolfiere, biciclette a noleggio, addirittura scooter che percorrono vie tutto sommato decenti. Le principali vie di comunicazioni interne, tra la cittadina e il fiume Irawaddi, sono perfino in asfalto, consentendo quindi alle auto di percorrerle. Nel 2011, al contrario, la situazione delle strade era sotto molti aspetti critica: pioveva ininterrottamente da 3 giorni e le poche vie erano invase da crateri pieni di acqua. Dei sentieri interni, poi, non ne parliamo: a fatica si distinguevano tra la folta vegetazione; i pochi che sembravano percorribili in realtà erano colmi di fango molliccio e traditore.
All’epoca, quindi, i mezzi disponibili erano solo due: i propri piedi, per quanto potessero resistere; le carrozzelle trainate da cavalli, come mostra l’immagine del post.
Per le pagode posizionate l’una vicina all’altra, in realtà i piedi sono più che sufficienti. Una bella passeggiata, specie se il tempo non è troppo afoso o – al contrario – troppo piovoso, è quanto di meglio si possa desiderare: ci si avventura tra pinnacoli e strutture affascinanti con la calma e l’attenzione che il panorama intorno a te merita. Ogni angolo è degno di uno sguardo più prolungato del solito; ogni vista merita una osservazione più ragionata; ogni dettaglio vale qualche secondo in più per essere scoperto e apprezzato. E’ un lungo momento magico che occorre prolungare al massimo possibile delle proprie capacità fisiche e intellettuali, perché siatene certi, non si ripeterà mai più…
Se piove sono problemi
Tuttavia, se il tempo fa le bizze, non c’è magia che tenga. Dopo il primo acquazzone ti accorgi che sei fradicio, hai i sandali umidi e il panorama non è più così affascinante come un momento fa. Con disappunto noti che stai camminando da un’ora nel fango in mezzo a rane e insetti appartenenti a specie non ancora classificate. Il disagio che provi è tale che non appena vedi un nuovo tempio all’orizzonte lo valuti solo se è in grado di proteggerti o meno dalla pioggia. Non importa se è famoso, antico, ricco di arte o altro: l’unica cosa che conta è che abbia una zona chiusa, riparata, ove trovare rifugio e dedicarsi con calma alla sequela quotidiana di imprecazioni contro il tempo…
Al secondo acquazzone, beccato proprio mentre stai scendendo da un tempio pericolante, non vedi l’ora che la tortura finisca presto, anche a costo di tornare subito in albergo in taxi. Tutto preferiresti, fuorché rimanere ancora all’aperto con i monsoni che ti perseguitano… Per questo motivo, malvolentieri, preferisci ricorrere al secondo mezzo di trasporto più utilizzato, il calesse.
Il calesse, soluzione precaria
La carrozzella in questione è una specie di biga in cui i passeggeri vengono collocati seduti uno accanto all’altro dando le spalle al cocchiere. In pratica si va all’indietro, con le proprie gambe che penzolano sul vuoto. La sistemazione di per sé non sarebbe male, visto che consente di osservare il panorama che ci scorre davanti senza l’impedimento della figura del cavallo… a qualcuno potrebbe venire il mal di mare, è vero, ma tutto sommato si tratta di un fastidio passeggero che viene ampiamente compensato dall’impagabile vista.
Nondimeno, un difetto c’è. La copertura del calesse non è ampia quanto sembra. Appena riprende a piovere te ne accorgi subito: anche tirata del tutto, non copre l’intera superfice del mezzo. Le tue gambe, in particolare, rimangono fuori dalla protezione, e tu le osservi demoralizzato mentre si inzuppano sempre di più. Non ci puoi fare proprio niente: non sei in grado di tirarle dentro o rannicchiarti, lo spazio è angusto. Puoi solo augurarti che smetta di piovere. Il che ovviamente non avviene.