Il primo dilemma da superare, una volta deciso di andare in Laos, è come arrivarci. Problema di non secondaria importanza, a mio modo di vedere, perché da come e dove si entra in questo paese dipende il proseguo dell’intero viaggio. Nel 2013, quando toccò a noi decidere, le alternative erano ancora poche e confuse, cosa che mi costrinse a eseguire una valanga di ricerche su internet, quasi esclusivamente su siti stranieri, dato che gli italiani preferivano affidarsi alle agenzie di viaggio.
In sostanza, ci sono tre modi di entrare in Laos.
- Prendere un volo dalla Thailandia e atterrare a Vientiane. E’ il sistema più semplice, prediletto da tutti i tour operator, nonché il più rapido. I voli per la capitale del Laos dalla Thailandia sono frequenti e sufficientemente sicuri. Le compagnie aeree che se ne occupano, a parte le linee nazionali, sono: Bangkok Airways, Lao Airlines e l’immancabile Airasia. Escluso il secondo vettore – di cui allora non esisteva traccia – e Airasia, che ancora non aveva una tratta per Vientane, l’unica alternativa era il volo Bangkok Airways, ma ciò che raffreddava immediatamente l’entusiasmo era il suo costo elevato. Oggi, al contrario, con l’avvento di Airasia è tutta un’altra storia. Per dare un’idea: un volo da Bangkok a Vientiane per il 23 agosto costa 43 dollari. Una sciocchezza.
- Passare il confine via terra, dal nord. Questo metodo, consigliato dai viaggiatori indipendenti amanti delle escursioni silvane, è il percorso preferito da chi proviene da Chiang Mai o Chiang Rai, nel nord della Thailandia, e intende spostarsi nel nord del Laos, dove le foreste sono più fitte e le occasioni di trekking indubbiamente più frequenti. In questo caso il varco è a Chiang Khong, sul Mekong, e consiste in un avventuroso attraversamento del fiume su una instabile lancia a motore.
- Attraversare il confine sul Ponte dell’Amicizia. Questo sistema, di gran lunga il più popolare, presenta l’indiscusso vantaggio di condurre il viaggiatore direttamente nei pressi della capitale Vientiane, dove poi è possibile prendere la maggior parte dei mezzi di trasporto per l’intero paese. Il varco, lato thailandese, si trova a Nong Khai, uno sperduto e insignificante villaggio dell’est la cui economia sembra essere incentrata esclusivamente sul via vai dei frontalieri, in entrambe le direzioni.
E’ quest’ultimo il modo che abbiamo scelto per entrare in Laos.
Un trasferimento piuttosto articolato
Arrivati a Bangkok, due giorni prima, dopo aver preso la consueta pausa per adattarsi al fuso orario, la nostra strategia di avvicinamento al Laos prevedeva un volo Airasia dalla capitale a Udon Thani. Da qui abbiamo contrattato ferocemente una corsa in taxi fino a Nang Khai, dove siamo giunti nella tarda mattinata del 17 giugno. Arrivati a destinazione ci siamo accorti che mancava ancora molto al confine. In effetti, autobus, tuk tuk e taxi locali mollano tutti i passeggeri presso un enorme piazzale, abbondantente contornato da bancarelle e percorso in lungo e in largo da venditori ambulanti di bibite fresche e frutta. Qui avviene il primo passo ufficiale della procedura di ingresso nel Laos. Ammucchiati da una parte, infatti, ci sono gli autobus della Thai-Lao International Bus Service predisposti a trasportare turisti e frontalieri da una parte all’altra della frontiera.
Prima, però, bisogna adempiere alle immancabili procedure burocratiche. Pertanto, se ricordo bene, si sale sul bus (costa 20 bath), con armi e bagagli, che ci porta presso gli uffici dell’immigrazione thailandese. Laggiù si scende – sempre con armi e bagagli appresso – si presenta il passaporto, lo si fa vistare, si procede a piedi lungo un tratto canalizzato; infine, si esce dall’area immigrazione e si ritrova, come per incanto, il proprio bus che aspetta in un vasto spazio proprio a ridosso del ponte.
Il tragitto successivo è quello che attraversa questo famoso – e sopravvalutato – Ponte dell’Amicizia, costruito dagli australiani agli inizi degli anni Novanta per suggellare la ritrovata amicizia – dopo anni di schermaglie – tra i due stati confinanti. Il ponte, è inutile dirlo, di per sè non ha nulla di interessante, salvo il non trascurabile particolare di attraversare uno dei fiumi più evocativi del mondo, il Mekong. Quando lo abbiamo attraversato noi era piuttosto in secca, a dire il vero…
Il visto per il Laos
Arrivati dall’altra parte della sponda, si entra ufficialmente in Laos. Si scende, questa volta definitivamente, dal bus e si procede in fila indiana verso la dogana laotiana. Qui inizia un lungo iter burcratico che serve ad ottenere l’indispensabile visto turistico di 30 giorni. Noi ovviamente ci eravamo preparati. Avevamo portato due foto tessere stile passaporto e i 35 dollari americani a persona. Raccomando di portare esattamente 35 dollari contati: alcuni viaggiatori hanno raccontato che qualche funzionario pratica una specie di “esproprio” sulla restituzione del resto, qualora si decida di pagare con bancanote da 100 dollari. Pagare esattamente l’ammontare richiesto è consigliato per un’altra ragione. Chi ha soltanto euro, infatti, si vede costretto a pagare 35 euro, che non hanno certo lo stesso valore di 35 dollari!
La procedura consiste nel compilare una carta, consegnarla insieme ai dollari, alle foto e al passaporto, mettersi da parte e attendere di essere chiamato. Tutto qui. Il problema sta nell’estrema lentezza con cui vengono compiute le operazioni. Un momento il funzionario c’è, un attimo dopo è sparito, non c’è nessuno a cui chiedere, occorre semplicemente armarsi di pazienza e aspettare. Soprattutto, nessuno sembra in grado di darti spiegazioni su alcuni elementi che risultano controversi. Così i turisti sono costretti a darsi una mano l’un l’altro, confrontando i propri documenti, verificando le risposte date, correggendo quanto scritto. Io stesso mi sono visto obbligato ad aiutare una eccentrica coppia russa che non era in grado di leggere correttamente le istruzioni in inglese.
Raggiungere Vientiane senza svenarsi
Ad ogni modo, una volta ottenuto il visto, si aprono i cancelli interni della dogana. Si attraversa una serie di ambienti e si sbuca direttamente in un ampio spiazzo, provvisto di panchine e generi di conforto. Questo luogo è frequentato da un nugolo di tassisti che immediatamente ti circondano e cercano in tutti i modi di strapparti un accordo per accompagnarti a Vientiane. I loro prezzi sono piuttosto elevati e chiedono solo valuta pregiata, euro e dollari in primis, ma anche i bath thailandesi vanno benone. Io e Paola ci siamo trovati in difficoltà. Ci aspettavamo un servizio navetta per la capitale, o qualcosa del genere, o anche più semplicemente qualche tuk tuk semi-legale come avviene in Thailandia. Invece niente, il largo era desolatamente vuoto e il pressing dei tassisti aumentava ogni minuto che passava.
Improvvisamente il lampo di genio. Vedo in lontananza un bus parcheggiato da una parte e all’apparenza semi abbandonato. Ci dirigiamo con i nostri pesanti bagagli verso il mezzo e ci accorgiamo, con notevole sorpresa, che invece è affollato dagli stessi frontalieri che avevano fatto lo stesso nostro tragitto da Nang Khai e che avevamo perso di vista alla dogana laotiana. Con una notevole faccia tosta, mia moglie sale e chiede all’autista, che evidentemente aspettava un orario prefissato per partire, se l’autobus conduce a Vientiane. Il tipo la guarda appena e poi fa un cenno di assenso. Cosa che ci ha dato immediatamente il pretesto per introdurci nel mezzo e piazzarci nelle ultime file di esso.
In pratica abbiamo viaggiato su un autobus esclusivamente riservato ai lavoratori frontalieri, espressamente vietato ai turisti. E se non ricordo male, non abbiamo pagato neppure il biglietto!…