Le geishe sono creature sfuggenti, furtive, esageratamente schive. Si muovono per le vie di Kyoto con sorprendente velocità, a passi rapidi e stretti. Spesso rasentano i muri, come bestie timorose e braccate, entrando e uscendo da case e locali dentro cui è vietato l’ingresso ai più. Per questo motivo è difficile riuscire a riprenderle in video o con la macchina fotografica.
E’ la stessa situazione – per chi l’ha provata – di chi affronta un safari fotografico in qualche savana o giungla indiana. Ti apposti presso un abbeveratoio, aspetti le ore sperando nell’apparizione miracolosa di un felino, o almeno di un bovino, ma ti accontenteresti anche di un semplice suino, per dare un senso a una giornata persa… E invece quei maledetti non appaiono mai, o se lo fanno, sono fuori portata del tuo zoom, oppure ti sfrecciano di fronte prima ancora di avere il tempo di impugnare la fotocamera. Ciò che è successo a Kyoto il primo giorno di soggiorno è stato esattamente questo.
E dire che ci eravamo preparati con cura. A cominciare dalla scelta strategica della zona in cui avevamo preso l’albergo, Gion, quello che si potrebbe definire, in termini europei, il centro storico di Kyoto. Un luogo decisamente appartato, silenzioso, tradizionale, così giapponese e allo stesso tempo lontano anni luce dai centri urbani nipponici. In questo luogo fatato – avevamo letto – era più che probabile incontrare una geisha. A Gion, infatti, sono concentrate la maggior parte delle case che le ospitano e dei locali che organizzano feste, cerimonie private, incontri in cui le geishe sono richieste.
Tuttavia questo quartiere, se vogliamo chiamarlo così, è molto vasto e piuttosto articolato. Si dirama ai piedi e lungo i pendii di una collina in cui le vie sono strette, tortuose, intricate, per cui risulta problematico un appostamento strategico, o comunque una ricerca vicolo per vicolo. Scegliere un luogo specifico per aspettare l’occasione ci è sembrata una perdita di tempo; ma anche andare a zonzo per i vicoli alla lunga è risultato stancante e mortificante, dato che non si aveva la minima idea di cosa cercare e come farlo. In pratica abbiamo cominciato a girare per ben 3 ore senza realmente concludere nulla, a parte qualche avvistamento fugace e il più delle volte errato.
Per farla breve: dopo 2 ore di avanti e indietro tra vie caratteristiche e vicoli insignificanti, alle 15 del pomeriggio, sotto una calura infernale, abbiamo preferito desistere. Eravamo affamati e ci siamo fiondati in un chioschetto che vendeva ramen; il tempo di ordinare, riporre tutto l’armamentario e rilassarci, ed ecco che ci sfreccia davanti una figura maestosa, colorata, pomposa e straordinariamente rapida. Era la prima geisha che vedevamo! Non ho provato neppure a impugnare la macchina fotografica e scattare: quella donna è stata come un’apparizione, un fantasma – e di un fantasma ne aveva pure l’apparenza, a giudicare la quantità di cerone che aveva in faccia.
La seconda occasione mancata è avvenuta in un anonimo vicolo ai piedi della collina. Una geisha minuta, tutto sommato piuttosto insignificante, ma sempre magnificamente addobbata, è spuntata fuori da una casa dalle pareti di legno in compagnia di un signore in completo nero e dalla improbabile coda di cavallo brizzolata. La scena, anche questa volta, è durata il tempo necessario a dare alla coppia l’opportunità di attraversare il vicolo – 2 metri e mezzo di larghezza – per entrare nella casa di fronte e sparire dalla nostra vista.
Insomma, il nostro primo giorno di “safari alla geisha” è finito come al solito, cioè con un nulla di fatto.
La sera, invece, abbiamo avuto più fortuna: le geishe, con il favore dell’oscurità, diventano più coraggiose, si espongono, rischiano il bagno di folla e l’inevitabile pioggia di scatti fotografici e riprese video (e io finalmente ho potuto riprenderle, ma con la videocamera).
E’ la sera, infatti, che i loro servigi vengono richiesti. Da ciò che abbiamo capito, ci sono molti locali, a Gion e altrove, in cui i giapponesi della medio-alta borghesia organizzano vari tipi di cerimonie in cui le geishe sono indispensabili. In un locale, in particolare, abbiamo avuto l’opportunità, brevissima, di sbirciare all’interno di un cortile, protetto da tendoni. Si stava svolgendo una cerimonia piuttosto formale con delle persone, tutte abbigliate all’occidentale, che si erano sedute attorno ad un giovane, anch’egli in inappuntabile giacca e cravatta.
Tutti erano in ascolto dei gorgheggi, miagolii e gridolini di una geisha, disposta al centro della ribalta, che stava evidentemente recitando qualcosa, accompagnando i versi canori con movimenti lenti e misurati delle braccia e di un ventaglio riccamente decorato. Questa visione è durata appena 5 o 6 secondi, perché non appena gli inservienti del locale si sono accorti della nostra curiosità, ci hanno impedito di vedere il resto abbassando un pesante tendone sull’ingresso. Poi, chiedendo qua le là, ci hanno informato che si trattava di una cerimonia di laurea: il giovane in giacca e cravatta si era appena laureato e la famiglia gli aveva offerto una cena in un locale esclusivo con tanto di cerimonia augurale da parte di una geisha.