Il Borneo, fin da quando ho avuto cognizione della geografia, è stato uno dei miei più seducenti sogni di viaggio ad occhi aperti. L’ho sempre immaginato come uno dei luoghi che meglio descrivono il concetto di “fine del mondo”. Un posto selvaggio, oscuro, tappezzato di foreste fittissime, circondato da un mare pieno di vita e di pericoli inimmaginabili… La terra dei tagliatori di teste e dei presunti avvistamenti di animali preistorici. Il “cuore di tenebra” per eccellenza, almeno da un punto di vista ecologico e geografico, ricco di meraviglie e allo stesso tempo dispettosamente irrangiungibile. L’ultima frontiera, in sostanza, del viaggio fai-da-te; la meta impensabile, inarrivabile, quell’ultimo passo oltre la civiltà praticamente fuori da ogni ragionevole portata. In parole povere: l’ossessione tipica del viaggiatore represso.
Invece, nel 2008, ci sono andato! Ciò è stato possibile perché improvvisamente, osservando attentamente la mappa, mi sono reso conto che l’isola, di fatto, è divisa tra due nazioni: la Malesia (parte ovest) e l’Indonesia (parte est). Il Borneo malese, stando a Google Map, delle due aree sembrava la più attrezzata, quanto a strade, porti, aeroporti, vie di comunicazione e presenza di grandi città. Kuching, la sua capitale, era raggiunta da numerose vie di comunicazione, tra cui alcune rotte aeree molto accessibili e – cosa non meno trascurabile – piuttosto a buon mercato.
Non ho perso molto tempo a elaborare un itinerario che mi consentisse, in poco più di una settimana, di visitare uno dei due stati, il Sarawak (l’altro è il Sabah, a nord, forse più famoso in termini turistici). I resoconti di viaggio erano abbondanti e particolareggiati. Le strutture di accoglienza sembravano all’altezza delle migliori aspettative. I trasporti assicuravano che in un modo o nell’altro le destinazioni scelte sarebbero state raggiunte. Non serviva altro che buttare giù una serie di luoghi da visitare e i relativi tempi di permanenza, e il gioco era fatto. Ed ecco l’itinerario che ho seguito io, tappa per tappa.
Kuching
Kuching è la porta d’ingresso del Sarawak meridionale, capitale del Borneo Malese, chiamata anche la “cittò dei gatti”. Il posto giusto dove piantare il proprio campo base e dedicarsi all’esplorazione delle numerose attrazioni dei dintorni. La città comunque merita almeno 2 giorni di permanenza.
Riserva naturale di Semenggogh. La seconda zona protetta per gli oranghi dopo Sepilok, nel Sabah. Una delle visite da fare ad ogni costo, facilmente organizzabili dagli alberghi o contattando uno dei numerosi driver che stazionano al centro di Kuching. Tempo di visita: 1 giorno.
Bako National Park. Un altro bell’esempio di conservazione della natura e allo stesso tempo di intelligente sfruttamente turistico. Il Bako park è praticamente il regno delle scimmie nasica, luogo in cui è possibile incontrarle più spesso di quanto si creda. Tempo di visita: 1 giorno pieno, anche due, scegliendo di pernottare direttamente nel parco (ci sono bungalow statali a buon mercato).
Bintulu
E’ una località intermedia scelta un po’ a caso, al centro del Sarawak, per consentirci di visitare alcuni luoghi molto suggestivi che da qui era possibile raggiungere con relativa facilità. Per arrivarci, abbiamo preso un bus diurno che ci ha messo più di 9 ore!
Similajan National Park. Uno dei più suggestivi parchi dell’Asia, interamente collocato sulle rive del mare. La foresta qui è meno fitta che in altre aree. Gli scorci sulle spiagge dove, periodicamente, vengono a nidificare le testuggini marine, sono fantastici, ma attenti ai coccodrilli di mare! Tempo di visita: 1 giorno.
Grotte di Niah. Le più profonde e misteriose grotte carsiche del Borneo, un dedalo di caverne in gran parte al buio affollate di pipistrelli, rondini e una smisurata varietà di insetti saprofagi. Tempo di visita: 1 giorno, tra andata e ritorno.
Miri
Ultima tappa del viaggio, scelta solo perchè provvista di un aeroporto decente. Da qui, con l’ennesimo volo Airasia, saremmo tornati sul continente, a Kuala Lumpur. Un paio di notti sono comunque sufficienti per conoscere la cultura (e la cucina) dell’etnia locale, di cui non ricordo più il nome, famosa comunque per le sue costruzioni collettive.
Le longhouse di Miri. Si tratta di una forma antica quanto efficiente di condominio orizzontale. Le abitazioni sono affiancate l’una all’altra e disposte su una grande pedana sopraelevata: sopra ci abitano gli umani, sotto, tra i pali di sostegno, le bestie. Da vedere. Tempo di visita: 1 giorno.