Doveva essere la serata perfetta per amminare il Bund dal lungofiume. Aveva anche smesso di piovigginare, sembrava tutto incasellato alla perfezione per consentirci di assistere ad uno degli spettacoli più impressionanti del mondo. E invece è stato un incubo. L’impressione l’abbiamo avuta, eccome, ma dalla folla di Shanghai: una entità mostruosa, opprimente, multiforme, il segno tangibile di quanti siano davvero i cinesi.
Racconto in breve cosa è successo. L’idea di fondo era quella di arrivare sul versante orientale del fiume verso le 20 e trovare un posto comodo da dove osservare il progressivo illuminarsi dei grattacieli del Bund, posto sulla riva opposta. Niente di complicato, insomma; ciò che non avevamo messo in conto era che alcune migliaia di persone avevano avuto la stessa idea, e la stavano mettendo in pratica.
Avvicinamento al Bund
Prima avvisaglia: il numero spropositato di persone incontrato alla fermata della Metro. Sembrava Tokyo all’ora di punta. Difficile entrare, molto meno uscire, visto che tutta quella gente stava andando proprio al Bund. Guido quindi ci ha consigliato di prendere delle vie traverse per arrivare all’agognato lungofiume. A detta sua, avremmo risparmiato tempo e rallentamenti.
Ciononostante, la folla cresceva ad ogni metro. Una marea ondeggiante di teste, corpi, macchine fotografiche, cellulari, che invadeva ogni marciapiede calpestabile, ogni centimetro percorribile, e si muoveva lentamente verso una unica destinazione. Una massa informe in piena migrazione, insomma, in cui ogni individuo, proprio come in un branco o in uno stormo, si disponeva istintivamente nel suo spazio vitale, ristrettissimo, e adeguava i suoi movimenti a quelli degli altri.
Giunti nei pressi del lungofiume, ci siamo accorti che le strade principali erano state chiuse al traffico. Guido ci ha spiegato che si tratta di una precauzione doverosa, visto il numero di persone che le percorrono; nessun marciapiede, per quanto grande, è sufficiente a ospitare una tale quantità di piedi umani. La cosa buffa è che il traffico pedonale, divenuto intenso e potenzialmente caotico, viene gestito allo stesso modo di quello automobilistico. Parecchi poliziotti si dispongono al centro della corsia e costringono la folla a seguire un percorso obbligato che coincide con un verso di marcia; chi sgarra, chi invade la corsia opposta, viene subito redarguido e riportato nei ranghi a suon di fischietti e occhiatacce. Ciò produce un ulteriore imbottigliamento e di conseguenza, nell’ordine: riduzione di spazio personale; difficoltà crescente nel compiere i più banali movimenti; rallentamento della marcia; una serie innumerevole di pestoni, gomitate, strattonate… Se aggiungiamo il disagio dovuto al caldo, alla confusione, all’oggettivo frastuono prodotto da migliaia e migliaia di persone, l’avvicinamento al Bund si traduce in una specie di via crucis ad ostacoli.
Il Bund, finalmente, ma che fatica!
L’ultimo tratto consisteva in una ampia strada che sfociava sul lungofiume. Una linea dritta interamente coperta di esseri umani! Sembrava una situazione analoga all’uscita dallo stadio, con il numero di persone moltiplicato per 100. Calcolandone la densità e considerando la distanza rimantente, ho realizzato che avremmo impiegato non meno di un’ora per percorrere quei miseri 100 metri! E quindi addio al progetto di osservare, con calma, il progressivo illuminarsi dei grattacieli. Quando siamo finalmente arrivati, infatti, il cielo era buio e lo spettacolo iniziato da un pezzo.
Poco male. La vista era comunque da mozzare il fiato. Ma la folla impediva qualsiasi avvicinamento ai punti di osservazione privilegiati. Per centinaia di metri, infatti, non abbiamo trovato neppure un centimetro libero che ci consentisse di appostarci e scattare la nostra brava dose di fotografie e selfie. Una massa compatta di cinesi festanti e ciarlieri, a volte disposti su più file compresse, ci impediva l’accesso al parapetto sul fiume. Sono riuscito a scattare la foto sopra arrampicandomi sul muretto dall’altra parte della strada; il tempo di uno scatto, appunto, perché quasi subito un poliziotto mi ha intimato di scendere.
Conclusioni
Qualche impressione sulla vista dello skyliner del Bund. Rispetto a quello di Hong Kong, sembra più compatto, limitato, ridotto; ma si tratta di una illusione ottica, dato che si snoda lungo una linea curva rispetto a chi guarda. I colori e gli effetti sono straordinari, ma almeno quel sabato sera del 2017 non abbiamo assistito ad alcun spettacolo di luci, come invece avviene tutte le sere a Hong Kong. La presenza dell’immancabile nebbiolina da una parte ne aumenta il fascino, dall’altra ne nasconde i dettagli. Si tratta comunque di una vista impareggiabile, senza alcun dubbio.
Al ritorno, un episodio piuttosto curioso. Un vecchietto sdentato, vestito in modo bizzarro con i colori della bandiera cinese, si è avvicinato a Guido e ha cominciato a urlargli “Taiwan è della Cina! Taiwan è della Cina! Voi americani non ce la porterete mai via!” (ovviamente la traduzione è di Guido, io non capivo un accidente). Si tratta di un personaggio molto comune nelle grandi città cinesi (ma anche del resto del mondo): il contestatore isolato, un po’ pazzoide, spesso relegato ai margini della società, al più considerato con benevolenza un fenomeno tra il comico e il patetico, ma ritenuto sostanzialmente inoffensivo. Come tanti altri suoi pari, nel resto del mondo, questo personaggio nutre la sua vita di ideali ormai defunti, di certezze andate a male, di eventi mai più replicabili e situazioni passate di moda. Un relitto di una società che non è più quella di una volta e che gli hanno imposto fin da bambino.
Naturalmente non è servito a nulla protestare che non eravamo americani…