Malgrado sia una delle quattro città imperiali del Marocco, Meknes attrae mediamente meno visitatori di altre ben più celebri capitali quali Fez e Marrakesh. Eppure, può vantare alcuni punti di forza – dal punto di vista turistico – come l’imponente cinta muraria (una delle più estese del Marocco), la sua intricata medina e una affasciante quanto originale architettura moresca. Una visita a Meknes, quindi, è – a mio parere – il modo più idoneo per iniziare il tour del paese. D’altronde, non manca niente: antiche rovine, mausolei, palazzi, moschee, madrase, parchi e tutto ciò che testimonia la grandezza di questa città in età medievale.
Meknes deve la sua fama ad un illuminato sovrano dell’inizio dell’epoca moderna. Fu il sultano Moulay Ismal, nel XVII secolo, a sceglierla come capitale del Regno e a trasformarla radicalmente da piccolo borgo collinare a una delle più belle città imperiali. In circa cinquant’anni la città si arricchì di meraviglie architettoniche e monumentali, e divenne davvero la “Versailles del Marocco”, come la chiamano da queste parti, splendente di oro e ceramiche adornate di eleganti motivi damascati. Dal 1996 la città è stata inserita tra i patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.
In teoria, la medina di Maknes potrebbe essere visitata anche da soli, senza particolari preoccupazioni, perdendosi nelle sue ombrose viuzze e seguendo semplicemente il rumore degli scalpellini o degli artigiani dell’ottone. In fin dei conti, si tratta di un’area piuttosto limitata e il pericolo di perdersi all’interno è praticamente nullo, visto che prima o poi si arriva sempre ad una delle 20 porte che cingono la città. Nella pratica, invece, occorre munirsi di pazienza e forza di volontà, perché fin dai primi passi compiuti fuori dall’albergo inizia l’assalto all’arma bianca delle guide improvvisate.
Una guida turistica ostinata
Ecco quindi il primo argomento da trattare, a Meknes come nel resto del Marocco. Non puoi fare un passo senza che qualcuno ti chiami, o comunque faccia di tutto per attrarre la tua attenzione, allo scopo di offrirti i suoi servizi turistici. Il pressing si fa via via più assillante man mano che ci si avvicina ai luoghi più interessanti della città. La medina, in particolare, è costantemente presidiata da un nugolo di persone che si aggiranno davanti alle sue porte in attesa di saltare addosso al primo turista che capita. A Meknes, peraltro, sono ben pochi coloro i quali sono in grado di parlare in italiano. Di conseguanza, se accetti di essere accompagnato in un tour della città, devi mettere in conto che il tuo anfitrione si esprimerà in un inglese spesso imperfetto e ricco di suoni sconosciuti, rendendo il suo eloquio a volte bizzarro, a volte assolutamente incomprensibile.
Anche noi ci siamo fatti abbindolare da un signore che sfoggiava un eccentrico quanto improbabile maglione di lana da alta montagna. Costui ci ha intercettati poco dopo che avevamo lasciato il nostro albergo e ci ha offerto un programma piuttosto articolato che noi, pensando di poter fare tutto autonomamente, non abbiamo accettato. Pertanto, ci siamo allontanati, dirigendoci verso le mura della città, sperando di poter fare affidamento esclusivamente sulla nostra brava guida di viaggio.
Il tizio non si è dato per vinto. Seguendo una routine consolidata, ci si è messo dietro, a pochi passi di distanza, sfoderando un atteggiamento noncurante e rilassato. Non potevamo certo chiedergli di cambiare strada: sembrava proprio che ci avesse dimenticati e camminasse per i fatti suoi. Eppure seguitava a starci dietro qualsiasi svolta prendessimo. Questo malcelato pedinamento è continuato per qualche centinaio di metri finché ci siamo trovati davanti ad un complesso architettonico davanti al quale erano radunate, in ordinata fila indiana, delle graziose carrozzelle. Qui il signore dal maglione pesante ci si è improvvisamente parato dinnanzi, sfruttando ciò che aspettava da tempo, ovvero un nostro – seppure impercettibile – momento di indecisione.
Il giro delle mura in carrozzella
Ci ha proposto lo stesso programma di prima, questa volta con una variante che comprendeva un giro in carrozzella delle porte della città. Un servizio quantomai vitale, perché il tour delle mura sarebbe stato sfiancante in quelle condizioni di caldo infernale. Inoltre, il giro ci avrebbe condotto proprio davanti all’ingresso più celebre della medina, e questo senza sprecare tempo e pazienza per individuarlo sulle mappe della nostra guida. La proposta comprendeva infine un tour a piedi all’interno del souk, la visita di una antica madrasa, il trasporto verso il mausoleo di Moulay Ismail e il ritorno al punto di partenza. Il tutto per una cifra che, in fin dei conti, non ci è sembrata una rapina…
Inutile dire, abbiamo accettato. Il primo tragitto in carrozzella, condotto ai ritmi fin troppo rilassati del nostro cavallino, ci ha permesso di osservare con tutta la calma del caso il panorama urbano che ci circondava. Siamo infatti penetrati in alcune delle strade meno battute dai turisti, dove i marocchini conducono la loro esistenza al riparo dalle contaminazioni del turismo di massa. Quei momenti, fra tutti, li ho molto apprezzati, come testimoniano le foto che ho scattato dalla carrozzella.
Il tour si è svolto quindi senza particolari scossoni. Il cavallo andava piano, il conducente non proferiva una parola, la gente che incrociavamo non ci degnava del benché minimo sguardo. Alla fine di un lungo giro, che ha attraversato equamente stradine isolate e trafficate strade cittadine, la carrozzella si è fermata davanti ad una porta di entrata alla città vecchia. Qui il conducente ci ha fatto scendere e ci ha lasciati in mezzo al trambusto generale. Neppure il tempo di renderci conto dell’accaduto – la carrozzella, da quanto avevamo capito, avrebbe dovuto aspettarci da qualche parte per poi condurci alle altre tappe del tour – che spunta tra la folla il volto baffuto e furbo della nostra guida in maglione invernale.
Visita lampo alla medina di Meknes
Beh, devo confessare che mai rivedere un volto umano mi fu così piacevole come in quell’occasione. La sua presenza ci ha praticamente rasserenato, perché l’idea stessa di tuffarci nel flusso di persone, biciclette, asini, fugoncini che affollava ogni minima viuzza della medina, ci aveva gettati nello sconforto. Con lui, pensavamo, ci saremmo sentiti al sicuro e soprattutto, non avremmo corso il rischio di perderci.
Ebbene, sulle prime è andata effettivamente così. Il tizio ci ha condotti dentro il souk partendo dal settore dominato dall’abbigliamento femminile, descrivendoci i vari aspetti degli abiti appesi e raccontandoci qualche aneddoto che, putroppo, non abbiamo ben afferrato. Ma eravamo contenti lo stesso. Io potevo fare riprese e fotografie a raffica, Paola si divertiva a sentire le chiacchiere del tizio. Entrambi pensavamo che tutto procedesse come meglio non si poteva desiderare. Ma ci ingannavamo.
Superata la zona più smaccatamente turistica, quella in cui si vendevano oggetti e souvenir per turisti, la nostra guida ha repentinamente accelerato il passo. Non so come e perché, ma subito ho interpretato quel cambiamento di ritmo come un modo di affrettare la fine della nostra collaborazione. Probabilmente il tipo ci aveva condotto proprio in quell’area per esporci il più possibile alla tentazione di acquistare qualcosa. Una mossa abilmente pianificata per compiacere qualche amico commerciante e rendere profittevole anche per lui la nostra visita. Esaurito questo aspetto del piano, restava poco da fare, oltre che trascinarci in giro per le vie meno trafficate e più squallide della medina e raggiungere, nel minor tempo possibile, il luogo in cui lo avremmo pagato.
Il resto del tour si è svolto quindi ad una velocità di crociera sensibilmente più elevata rispetto a prima. Lui camminava avanti, capo abbassato e occhi a terra, curandosi di noi quanto serviva per non perderci di vista. Noi gli andavamo dietro, alla spicciolata, non riuscendo a trovare neppure un momento per prenderci una pausa e guardarci intorno con calma. Le foto che ho fatto sono il frutto dei pochi momenti in cui, bloccati da un furgoncino o da un asino particolarmente carico di merce, eravamo costretti a fermarci e aspettare.
Anche nei pressi del piccolo settore dedicato alla concia e alla colorazione delle pelli, il nostro anfitrione non si è dimostrato particolarmente condiscendente. Ma lì siamo stati noi due che lo abbiamo costretto a fermarsi. Per noi, infatti, era la prima volta che assistevamo ad uno spettacolo del genere – del resto piuttosto famoso in Marocco – e per nulla al mondo avremmo rinunciato al piacere di osservare le varie fasi di questa antichissima pratica artigianale.
Piacere della vista, ma non dell’olfatto. In queste concerie a cielo aperto, infatti, l’odore che si sprigiona dalle vasche e soprattutto dalle discariche dove vengono accumulate le parti di scarto degli animali, è terribile! Una puzza orrenda prodotta in gran parte dai residui mal digeriti degli intestini delle povere bestie che, per la cronaca, sono tutte capre. Le pelli grezze prodotte a Meknes, a quanto pare, vengono imballate e spedite direttamente in Italia, dove vengono trasformate in sofisticate scarpe e cinture di capretto. Inoltre, proprio quel giorno abbiamo raggiunto le vasche in un orario poco indicato per osservare i conciatori al lavoro. Erano le 13 passate e abbiamo trovato solo un signore che sbatteva le pelli e le sciacquava in un’acqua di un colore francamente indefinito. Una piccola delusione, insomma, appena mitigata dall’idea che di lì a poco saremmo andati a mangiare…
Infine, siamo arrivati alla fine della medina, nei pressi di un’altra bellissima porta che si affacciava su un’ampia valle disseminata di uliveti. Era proprio qui che ci attendeva il nostro calesse per il proseguo del tour. Davanti alla maestosità di questa porta, riccamente intarsiata di ceramiche coloratei, è ufficialmente terminato il rapporto di collaborazione con la nostra guida. Senza particolari rimpianti da ambedue le parti, devo dire. Abbiamo ringraziato, pagato il convenuto e il tipo ha provato, molto timidamente, un ultimo colpo di coda: ci ha proposto di andare a mangiare da un suo conoscente che aveva il ristorante proprio da quelle parti. Una idea dell’ultimo minuto, frutto dell’improvvisazione, probabilmente, per verificare se c’erano i presupposti per scucirci qualche altro dinhar. Noi abbiamo educatamente declinato e lui non ha insistito. Ci ha salutati, senza particolare simpatia, si è girato e, con passo breve e frettoloso, si è immediatamente immerso nella folla della medina di Meknes.