Situata appena 14 chilometri al largo della costa, Ti Top Island è la meta regina della baia di Ha Long. Di conseguenza, è il luogo più affollato dell’intero Vietnam. Sottoposto a una invasione giornaliera che non ha mai tregua, essendo alimentata da un flusso pressoché continuo di turisti provenienti da mezzo mondo. Il motivo è semplice: dalla cima di questa minuscola isola è possibile ammirare il panorama più famoso e fotografato della baia di Ha Long. La visione che da sola potrebbe gratificare (e persino giustificare) l’intero viaggio in Vietnam e tutte le spese sostenute per arrivarci. Ma conquistare sia la vetta dell’isola, sia la postazione giusta per scattare la foto perfetta, non è una impresa facile…
Innanzitutto, qualche notizia sull’isola. Ti Top Island deve il suo nome ad una storpiatura fonetica. L’isola, che in origine si chiamava diversamente, è stata così rinominata dal presidente Ho Chi Minh in onore del cosmonauta russo Gherman Stepanovich Titov in occasione della sua visita a Ha Long nel 1962. Titov forse era un nome impronunciabile per i vietnamiti, per cui è stato più semplice trasporlo nel più familiare Ti Top. Ed ecco perché l’isola si chiama così.
Arrivo sull’isola
Ti Top Island si presenta come nella foto sopra: un piccolo cono sghembo, tappezzato di foresta pluviale, circondato da un lembo di spiaggia bianca affollato all’inverosimile da turisti in costume. Ma non è la spiaggia la vera attrazione dell’isola. Ciò che interessa tutti è raggiungere quell’appena visibile edificio che si intravede in cima. E’ da lì, infatti, che si gode la vista più impressionante della baia di Ha Long. Un panorama che non ha eguali in altre parti dell’area, posso assicurarlo.
Tuttavia, per godersi tale meraviglia è necessario assogettarsi ad un rigido sistema di regolamentazione delle presenze e dei tempi di visita. Ogni crociera dispone infatti solo di un limitato margine di tempo entro il quale gestire il proprio flusso di turisti. Il che riduce la visita ad una marcia forzata di circa un’ora e mezza, tra andata e ritorno, e rende l’escursione tutt’altro che rilassante. Ma ripeto, ne vale assolutamente la pena.
La prima avvisaglia che non sarà una gita di piacere si ha proprio al momento dell’attracco al molo dell’isola. Una piattaforma di cemento piuttosto angusta in cui le guide di ogni crociera radunano i propri clienti e forniscono le indicazioni essenziali su come procedere oltre. Il che si riduce ad una serie di severe raccomandazioni che riguardano sopratutto, come dicevo prima, il rispetto dei tempi stabiliti dalla tabella di marcia.
Per i meno temerari, ovvero coloro i quali si fanno intimorire dai 110 metri di ascesa e dai 470 scalini che si insinuano all’interno di una soffocante e umidissima foresta tropicale, c’è un’alternativa più soft: trascorrere quell’ora e mezza in spiaggia, contendendo ad altri umani il possesso di pochi centrimetri quadrati di sabbia e gli esigui ombrelloni presenti (a pagamento).
Per costoro l’escursione si riduce quindi a poco più di una gita al mare. Un mare, tra l’altro, ben poco allettante, vista la quantità eccessiva di gente che lo frequenta. L’isola, peraltro, avrebbe altri luoghi interessanti da visitare, oltre il belvedere e la spiaggia. A cominciare da alcuni pittoreschi anfratti, una parte dei quali sfacciatamente artificiali, dentro cui trovare negozi di souvenirs e un paio di bar. Ma oltre questo non resta altro da vedere. Per cui sarebbe meglio, e molto più gratificante, tentare l’impresa di raggiungere il belvedere posto 410 metri più in alto.
Una salita molto faticosa
Ciò che terrorizza la maggior parte dei turisti, specie quelli che denunciano una evidente carenza di forma fisica, è la scalinata che conduce alla vetta dell’isola. Diciamo subito che non si tratta di una prova da guiness dei primati. La scala in cemento e pietra è piuttosto facile da percorrere; gli scalini sono non troppo alti e ben distanziati fra loro; i corrimano abbondano, per cui non c’è quasi mai il pericolo di trovarsi in bilico su un baratro senza disporre di alcun appiglio a cui reggersi.
Per gli appassionati scalatori, una ascesa come questa sembrerà senz’altro un gioco da ragazzi. Poco più di 100 metri di dislivello sono ben poca cosa per chi è abituato a ben altre distanze. Nondimeno, la salita di Ti Top Island presenta una indubbia difficoltà, avvertibile da chiunque, ed è il clima. Da queste parti, specie in estate, durante la stagione delle pioggie, le temperature possono diventare insopportabili. Affrontare una scalata come questa con 35 gradi e 98% di umidità non è un affare da prendere con superficialità. A ciò si aggiunge la sensazione di soffocamento prodotta dal microclima della foresta che ci sovrasta e ci avvolge. Un senso di oppressione che aggiunge peso e sudore a ogni passo che facciamo.
Non è quindi una sorpresa se, quasi immediatamente, sorpassata la prima rampa di scale, ci si ritrova in un bagno di sudore e a corto di fiato. Circondati peraltro da decine e decine di persone, tutte in rigorosa fila indiana, che procedono sempre più lentamente verso la cima sbuffando e sudando come maiali. La penosa processione si assottiglia man mano che si procede. Dopo circa 200 scalini è molto probabile che un buon terzo dei partecipanti preferisca fermarsi e tornare indietro.
E non è finita qui. Arrivati più o meno a due terzi dell’ascesa, la scala inizia a diventare più stretta e impervia. Le piante si appropriano di sempre più ampie porzioni del selciato, rendendo il percorso meno lineare. A quel punto, con la stanchezza ormai dilagante, il fiatone e il sudore che ci incolla i vestiti addosso, anche superare il minimo ostacolo diventa una sofferenza inenarrabile. L’ultima piattaforma prima della vetta è quella che raccoglie la maggior parte dei rinunciatari. Per costoro, gli ultimi 50 scalini sono ormai divenuti simili – in quanto a difficoltà e fatica – all’ultima parete del K2! Molti si fermano qui, accontentadosi dei panorami parziali che si possono scorgere tra le fronde degli alberi. Per gli altri, i più coraggiosi, quei 50 scalini finali rappresentano l’ultimo sacrificio, il più duro, reso ancora più doloroso dal fatto che da qui è pressoché impossibile capire dove e quando la salita terminerà.
Un posto in prima fila
In un modo o nell’altro, insomma, la vetta viene raggiunta. E subito, lancinante come una coltellata, arriva la prima sonora delusione. Il luogo appare estremamente affollato! Ci sono centinaia di persone che si accalcano sui parapetti dell’edificio intravisto prima, tra una colonna e l’altra, riempendo ogni minimo spazio disponibile, rendendo vano ogni tentativo di sporgersi al di là di teste e corpi per osservare cosa c’è oltre. Quasi tutti, con riprorevole mancanza di rispetto per gli altri, tendono a piazzarsi presso le postazioni più privilegiate non solo per scattare foto, selfie e fare riprese video, ma anche per riposarsi dell’ascesa appena compiuta. In pratica, una volta conquistata la posizione, è molto difficile che venga ceduta facilmente.
Chi arriva dopo è pertanto costretto ad attendere il suo turno. E fare buon viso a cattivo gioco, come si suol dire. Tanto, prima o poi, qualcuno sarà costretto a mollare la presa, non per altro perché sollecitato dalla propria guida venuta fin quassù a raccattare, uno a uno, tutti i clienti del proprio gruppo e costringerli, con modi perlomeno bruschi, a decidersi a scendere giù. E devo dire che i rimproveri espressi in quell’occasione, in tutte le lingue, sono molto frequenti e piuttosto aspri…
Ad ogni modo, con un po’ di pazienza si ottiene ciò per cui si è speso tanto in termini di energie e risorse mentali. Il panorama della baia di Ha Long si dispiega davanti ai nostri occhi in tutta la sua maestosità e infinita bellezza. E posso giurare che non c’è una porzione di esso che non attiri l’attenzione e non affascini in modo quasi ipnotico. Ovunque si giri lo sguardo, tra le affascinanti isolette a forma di cono che sorgono dal mare, si vedono innumerevoli barche da crociera. Piccole, grandi, enormi… di tutti i tipi. Il mare sottostante sembra quasi essere diventato un enorme parcheggio per natanti. Ma ciò non disturba minimamente uno scenario che appare, malgrado la confusione e l’affollamento, ancora straordinariamente armonico.
Malgrado non ne hai mai abbastanza, prima o poi ti costringono a sloggiare e lasciare il posto ai nuovi venuti. E qui subentra la seconda delusione di giornata. Per chi affronta la visita il pomeriggio lasciare questo posto è davvero un peccato, perché fra tutte le espressioni di bellezza assoluta che questo posto emana, quella del paesaggio al tramonto è forse la più seducente. Per assistere a questo spettacolo irripetibile molti turisti, specie quelli non legati alle crociere, arrivano proprio quando tutti gli altri sono costretti a tornare giù. Si appropriano senz’alcuna fatuca delle postazioni più idonee all’osservazione del paesaggio lasciando noi, affranti e sconcertati, alle prese con la triste e frettolosa discesa del ritorno. D’altronde, da qualche minuto la nostra guida, con il megafono, ha iniziato a chiamarci a squarciagola…
Ciononostante, sono riuscito a fare la foto sopra sporgendomi dalla penultima rampa. Non è proprio ciò che volevo ritrarre e si tratta di una visione parziale del luogo incantanto in cui mi trovavo. Ma meglio di niente…