L’unica certezza dei soldi è che, dovunque vai, saranno sempre accettati. E se parliamo di valuta pregiata, come i dollari americani, la sicurezza si tramuta in granitica fede religiosa. In Myanmar invece, non è proprio così, perché ciò che conta non è il valore intrinseco della moneta ma il suo aspetto fisico.
Spiego il concetto raccontando cosa è successo non appena giunti in Myanmar, nel lontato 4 giugno del 2011.
Arriviamo dunque nella ex capitale alle 8:40 circa. L’aeroporto si presenta bene, è moderno, ricco di negozi e abbastanza vasto; le formalità di ingresso sono sorprendentemente ridotte all’osso: ci chiedono il passaporto e la foto di rito, e poi passiamo la dogana senza altri fastidi.
Ci attende Sonny, la nostra guida che parla italiano. E’ un signore snello, occhialuto, capelli dal taglio occidentale, molto cortese, che veste il tradizionale longyi, un tessuto quadrato indossato come una gonna. Un abbigliamento che non abbandonerà più nel corso del viaggio.
Dopo i consueti convenevoli ci dirigiamo verso il centro di Yangon; l’auto che ci ha destinato è una vecchia Nissan degli anni 80, abbastanza mal ridotta e rumorosa, ma sembra solida. Il nostro autista, e lo sarà per tutto il viaggio, è Theun, il cugino di Sonny, un tipo cordiale e discreto, sempre con il sorriso tra le labbra.
Dopo qualche sobbalzo arriviamo al Summit Park Hotel, la migliore scelta in questa parte della città, non per altro perché si trova a poche centinaia di metri dalla Shwedagon pagoda, l’attrazione numero uno di Yangon.
Nella Hall Sonny mi chiede di saldare subito il dovuto. Il denaro serve per pagare alcuni servizi, quali gli alberghi e il volo di ritorno, che non è possibile procastrinare oltre. Ci appartiamo da una parte e io tiro fuori il malloppo, che nell’attuale circostanza è proprio tale, visto la massa di bancanote che mi sono portato dall’Italia. Sonny si siede davanti a me, afferra le bancanote e con gesti lenti e misurati, comincia a disporle davanti a sé. Lo osservo e non riesco a capire cosa stia facendo. Sonny infatti si attarda a verificare, uno per uno, meticolosamente, tutti i pezzi da cento dollari che gli ho portato. Ne scarta alcuni – e la cosa mi inquieta – ne accetta altri. Poi torna a guardare le bancanote “buone”, rifà la verifica e ne scarta altre due: la mia inquetudine si volge in terrore, perché quei soldi sono tutto ciò che abbiamo (a parte qualche centinaio di euro) e se non ce li prendono siamo proprio nei guai.
Dollari nuovi e dollari falsi
Alla fine accetta il pagamento e ci consiglia di cambiare solo 200 dollari in Kyat locali (si pronuncia ciàt), in modo da coprire le spese di vitto e poco più. Ci restano in tasca, inutilizzabili, circa 400 dollari, che ci verranno utili l’anno seguente, in Egitto, dove non sono certo così schizzinosi quando si parla di denaro…
Ma per quale motivo tanta maniacale attenzione? Sonny me lo aveva accennato per mail, me lo spiega meglio a destinazione. In Myanmar, almeno a quel tempo, il dollaro è la valuta parallela dell’economia nazionale. Ci sono infatti due mercati, uno denominato in kyat, limitato ai beni di pura sopravvivenza; un altro in dollari, per tutto il resto. Possedere dollari, quindi, significa non solo acquistare beni e servizi altrimenti irrangiungibili, ma anche dimostrare di appartenere alla ristretta cerchia dei pochi privilegiati che possono permettersi qualche piccolo lusso.
Per questo motivo tutti vogliono avere dollari. Ma questi non crescono sugli alberi, né è possibile procurarseli nelle banche, perché ovviamente, in questa economia drogata, non c’è alcuna convertibilità tra kyat a dollari. Inoltre, il Myanmar è un paese strozzato da un embargo internazionale piuttosto severo. Allora che si fa? Ma è semplice, i dollari che non ci sono si creano.
E in effetti, mi racconta Sonny, in Myanmar sono in circolazione una quantità enorme di dollari falsi, sopratutto in tagli da 5, 10 e 50. Che sono bancanote, peraltro, piuttosto facili da falsificare. Per questo motivo, gli operatori economici che trattano in dollari sono diventati molto severi, e accettano solo bancanote emesse dopo il 2009, e solo in tagli da 100. Per quelle stropicciate, oppure macchiate, insomma per il denaro “vissuto”, se ti va bene c’è il mercato nero, e lì è probabile che qualcuno le accetti, ma a condizioni e tassi da furto con scasso.