Anuradhapura è la tappa principale all’interno del Triangolo culturale di Sri Lanka. Una visita che può assorbire gran parte di una giornata come pure una settimana, tanto è ricca di cose da vedere e luoghi da esplorare. Del resto, stiamo parlando della più antica e potente capitale dello Sri Lanka, città immensa e tentacolare capace di produrre, ai tempi della Roma repubblicana, alcuni dei più spettacolari monumenti al mondo.
I daboga rossi di Anuradhapura ne sono l’esempio più magnifico. Non è difficile raggiungerli, malgrado l’area archeologica sia vastissima e – per certi versi – molto dispersiva. Sono delle costruzioni talmente grandi che non passano certo inosservate! I dagoba sono grandi cupole costruite praticamente partendo da terra. Non c’è un edificio sottostante, come nelle costruzioni occidentali, se si esclude una zona sacra piuttosto striminzita; alcuni non possiedono neppure un vero e proprio interno. Del resto furono costruiti solo per ospitare oggetti sacri, resti di monaci influenti e qualche preziosissima reliquia del Buddha. L’effetto scenico, pertanto, è unico: un enorme involucro arrotondato di mattoni (o ricoperto di calce bianca) che si erge dal terreno per parecchie decine di metri e finisce con una specie di aguzzo pinnacolo. Edifici spettacolari e maestosi come questi, al mondo, si trovano solo in Egitto o in Messico.
Anuradhapura è stata la prima capitale dello Sri Lanka e centro del buddismo Theravada per molti secoli. Malgrado l’evidente influenza indiana, è rimasta tenacemente buddista fino alla fine (XI secolo) quando, a causa delle ripetute invasioni provenienti dal continente, la capitale fu spostata più a sud a Polowarunna. I suoi edifici, rimasti in piedi a discapito di invasioni, terremoti e degrado, sono attualmente l’esempio più fulgido di architettura sacra buddista al mondo. Non sorprende quindi che nel 1982 Anuradhapura sia stata nominata dall’UNESCO patrimonio mondiale dell’umanità.
Anuradhapura è quindi l’equivalente asiatico di una grande metropoli dell’antichità. Il suo momento di maggiore auge, infatti, è coinciso con l’inizio dell’espansione di Roma nel Mediterraneo. E le analogie tra le due grandi civiltà non finiscono qui. Anche i cingalesi, infatti, hanno costruito i loro edifici utilizzando il mattone rosso, così come facevano i romani. Gli enormi stupa (o dagoba) che si possono ammirare ancora oggi sono interamente assemblati con piccoli mattoncini di terra rossa, affiancati sagacemente uno all’altro in strati sovrapposti concentrici, via via sempre più stretti, fino ad arrivare in cima. Il risultato è una cupola quasi perfetta, o comunque sommariamente circolare, che nessun evento armosferico o geologico ha potuto scalfire nel corso del tempo.
Il dagoba più antico è il Jatevanaramaya, quello raffigurato nell’immagine di questo post. E’ stato costruito nel primo secolo avanti Cristo e vanta un primato incontestabile: è il più grande edificio in mattoni al mondo! Si raggiunge percorrendo un largo vialetto in terra battuta che conduce ad una breve scalinata. Da qui è possibile ammirare la colossale costruzione, su cui svetta in cima un pinnacolo spezzato. Il blocco su cui poggia la cupola è costituito dai resti di quello che doveva essere un basamento rivestito in marmo. Quasi tutto è andato perso – o rubato – ma ciò che è rimasto, ovvero le parti costitutive delle fondamenta, sono ancora visibili. In un’area appena discosta, collocato su una specie di tavolo di marmo, si scorge una piccola statua di Buddha bianca.
L’interno, come già accennato, si riduce ad una stanzetta appena transitabile, intasata di statue e offerte e quasi tutta occupata da un enorme Buddha nell’atto di riposare. Quando ci sono andato io lo spazio era ulteriormente ridotto a causa dei rituali lavori di restauro. Essendo però quasi tutti gli oggetti di origine recente, il lavoro in questione si riduce ad una operazione di make-up dei colori effettuato da piccoli artigiani locali a colpi di pennello e soffietto. L’effetto finale è piuttosto vivido, devo confessare.
L’altro grande dagoba che vale la pena visitare è l’Abhayagiri. Anch’esso molto antico, fino al 1997 era interamente ricoperto di vegetazione. Forse per questo si è mantenuto più integro. Da quella data è iniziato un accurato lavoro di restauro e di sostituzione di tutti i mattoni ormai usurati (ce ne sono voluti ben 2.833.431!) che lo ha riportato all’antico splendore. E lo ha restituito alla venerazione dei fedeli. Sì, perché a quanto pare è questo lo stupa che attira la maggior parte dei pellegrini che vengono ad Anuradhapura, come testimonia l’immagine sopra.