La caratteristica principale di un tempio indù è l’estremo affollamento di figure che lo caratterizza. Divinità, umani, spiriti, animali, figure fantastiche… Sembra quasi che l’intento sia quello di raffigurare l’intero pantheon induista. E posso assicurare che un tempio solo, per quanto grande, non basta!
Il tempio tamil più importante, in Sri Lanka, è senza dubbio quello di Matale. Costruito nel tipico stile ottocentesco che caratterizza molte costruzioni induiste in altre parti del mondo, il tempio è dedicato alla dea della fertilità Mariamman, ed è oggi il luogo a cui è destinata la maggior parte della devozione (e delle offerte) degli abitanti di origine tamil.
La struttura è grandiosa e piuttosto appariscente. Si vede anche da molto lontano per via delle sue enormi torri a stupa, decorate in modo eccentrico ed esuberante con statue ed effigi estremamente dettagliate. La torre principale, in particolare, è un trionfo di sculture ammassate e ravvicinate, frammiste a fregi, motivi astratti e animali di tutte le specie; le figure umane, in particolare, rappresentano le principali divinità della religione induista, e non serve un esperto per individuare facilmente i vari Vishnu, Brahma e sopratutto Ganesha, il dio mezzo uomo e mezzo elefante.
Ci si potrebbero perdere le ore, davvero, ad osservare ogni singola figura, la posa in cui è ritratto, la sua acconciatura, gli oggetti che sorregge… E poi gli abiti, i copricapi, le espressioni del viso… Risulta peraltro evidente che la tradizione religiosa lascia il passo, a volte, a qualche licenza artistica, come nel caso della raffigurazione dei volti, specie quelli maschili, tutti contraddistinti da folti baffoni a spiovente tipici di una certa moda ancora in voga nel sud dell’India.
La torre principale, il cui colore di base è giallo canarino, assorbe indubbiamente gran parte dell’attenzione dei turisti. L’interno però non è meno interessante. E qui bisogna ricordare che è obbligatoria un offerta prima di entrare nel tempio. L’offerta dovrebbe essere libera, tuttavia viene rapidamente quantificata da un solerte e fastidioso guardiano il cui compito, a quanto pare, è quello di assicurarsi che ogni straniero paghi la sua quota e non varchi la soglia del tempio con le scarpe ai piedi. Chi cerca di fare il furbo (le entrate al tempio sono più di una, in realtà), prima o poi viene scovato e pesantemente redarguito.
L’interno, dicevo, è se possibile ancor più strabordante, eccessivo, stravagante dell’esterno. Ogni centimetro è decorato fino allo sfinimento con stucchi, rilievi, fregi di ogni colore possibile immaginabile. Al centro sorge un blocco separato, caratterizzato da un arco argentato anch’esso finemente lavorato. E’ il sancta santorum del tempio, all’interno del quale, sorprendentemente angusto, un santone si produce in misteriosi e incomprensibili gesti intorno ad un focolare perenne. In fondo è visibile la dea Mariamman, che scruta ogni cosa attraverso i suoi occhi vitrei.
Una delle caratteristiche tipiche dei templi tamil di Sri Lanka è il fracasso. Tale rumore, a volte insopportabile, è prodotto da alcuni musicisti che si esibiscono in continue litanie, amplificate in maniera ossessiva dal rimbombo procurato dalla vastità dell’ambiente. Gli strumenti che producono tale strazio sono quasi sempre tre: una trombetta, o buccina, suonata in modo a dir poco sguaiato ma a volte con sonorità vagamente jazzistiche; un tamburo, percosso su tutti e due i lati in modo estremamente vigoroso; una campanella che produce un suono talmente acuto e squillante da ferire i nostri apparati uditivi.
Il giorno in cui ho visitato il tempio di Matale, un gruppo di famiglie tamil era impegnata in una serie di rituali che sulle prime non ho pienamente compreso. Poi ho focalizzato l’attenzione su alcuni individui che sembravano più importanti di altri, sia per come venivano trattati sia per le fogge degli abiti. Fra questi si distingueva un giovane uomo, vestito di bianco, impegnato in un rito che svolgeva solo lui: presentarsi davanti ad ogni divinità del tempio, giungere le mani, restare un minuto assorto, e poi passare oltre. Tutti gli altri lo seguivano da presso, lo scortavano, senza tuttavia ripetere lo stesso rito.
Poi ho capito. Era la famiglia di uno sposo che si presentava al tempio prima di partecipare alla cerimonia vera e propria. Cerimonia che ovviamente non mi sono fatto sfuggire, come racconto qui.