L’elemento che tutti i viaggiatori ricercano, in fin dei conti, è la sopresa. Riuscire ancora a provare quella particolare emozione che ti coglie quando assisti, vedi, provi, senti, assaggi, annusi, ascolti qualcosa che non ti aspettavi. La sorpresa è il sale e il pepe di ogni viaggio, secondo me, ma è una risorsa rara, difficile da scovare in un mondo globalizzato e omologato all’inverosimile. Talmente arduo che quando succede rimani spiazzato, quasi inebetito, sopraffatto dall’emozione.
Come è successo a me un sabato di fine agosto del 2014 a Tokyo. Il viaggio volgeva ormai alla fine. Era l’ultimo giorno di permanenza nella terra del Sol Levante. Come di prammatica, questa giornata priva di impegni o visite culturali era dedicata al puro e semplice vagabondaggio, bighellonando senza meta da una fermata della metro all’altra senz’altro scopo se non quello di far passare le ore che ci dividevano dalla cena serale. L’idea di fondo era semplice e ammetto un tantino infantile: vedere cosa c’era in superfice ogni volta che emergevamo dal sottosuolo di una fermata. Niente di più, niente di meno.
Quella mattina, dopo un paio di fermate piuttosto anonime, siamo “emersi” nel quartiere di Asakusa. Subito, abbiamo notato un fermento che nelle altre zone della città non era presente. Da una parte, infatti, da un palco allestito alla bell’e meglio parlava un oratore. Circondato da bandiere e manifesti evidentemente elettorali, urlava i suoi slogan, sgraziatamente distorti dall’amplificazione, ad un esiguo gruppetto di persone che lo ascoltavano attente. Mi è parso subito che ci fosse una certa sproporzione tra l’apparato organizzativo, composto da parecchi addetti e da strutture all’apparenza molto costose, e la platea di ascoltatori, ridotta a poche decine di persone. Ma ciò che ha attirato la mia attenzione, al di sopra dei gracidii che provenivano dal palco, era un rumore sordo, lontano, continuo, di tamburi.
Un elegante viale, sovrastato da moderni grattacieli, sembrava l’orgine di quel trambusto. E lì ci siamo diretti, io e mia moglie, fiutando la possibilità di una avventura inaspettata. In effetti, man mano che ci avvicinevamo, la folla aumentava, e così anche il rumore di tamburi. Ma questa volta si cominciava ad avvertire anche una musica, o meglio, un mix di musiche che si sovrapponevano, si inseguivano, crescendo di volume al nostro avvicinarci. Non ci è voluto molto per capire che si trattava di musiche brasiliane, per essere più precisi di samba! E sì, in quel lontanissimo luogo del mondo si stava suonando della samba brasiliana. E non solo si suonava, ma si ballava!
In pochi istanti ci siamo trovati compressi ad un lato del viale. Un cordone di nastro colorato ci divideva dal centro della strada, occupato da gruppi di persone, vestite in modo sgargiante, che suonavano delle percussioni in perfetto stile brasiliano. Erano tutti giapponesi, come giapponesi erano le procaci ballerine, anch’esse stupendamente abbigliate, che li seguivano da presso. Queste ragazze, si dimenavano ballando la samba, alcune in modo più elegante e canonico, altre più arrangiato. Era uno spettacolo nello spettacolo, davvero.
In breve abbiamo capito che ci trovavamo nel pieno di una sfilata, in stile carnevale di Rio, nel pieno centro di Tokyo. Come nel celebre carnevale, anche qui si sfidavano le scuole di samba locali, con i loro costumi, i gruppi di suonatori, le ballerine. Quasi tutte le associazioni avevano una sezione giovanile, composta da giovanissime ragazzine – a volte bambine – che sfilavano anch’esse tra le due ali di folla. Molte di queste ballerine in erba si arrangiavano come potevano, è ovvio, e qualche volta faticavano a stare appresso al ritmo indiavolato della danza. Ma comunque dimostravano tutte un impegno e una serietà, malgrado i sorrisi forzati, tipici del popolo giapponese.
I gruppi erano parecchi e convergevano tutti verso un grande centro congressi, situato poche centinaia di metri più in alto. Era qui che si concludeva la sfilata e iniziava la gara vera e propria tra le scuole di danza. Un grande spiazzo consentiva a tutti i gruppi di potersi esibire senza dover rubare spazio agli altri. Alcune scuole, oltre alle bande musicali, presentava anche numeri di capoeira, con tanto di istruttori dalle inequivocabili fattezze brasiliane. La gente mostrava di apprezzare moltissimo lo spettacolo. Devo dire che anche io, da sempre affascinato dal ritmo delle percussioni latine, sono rimasto rapito dalla bravura di alcuni gruppi.
Abbiamo appreso solo dopo che quell’evento era rituale. Si tratta dell’Asakusa Samba Festival (o Asakusa Carnival Festival), che si svolge l’ultimo sabato di agosto a Tokyo nel quartiere omonimo. Un omaggio dei giapponesi al Brasile, con il quale da secoli esiste un legame privilegiato. Erano brasiliani, infatti, i primi aiuti arrivati a Kobe dopo il devastante terremoto del 1995. Sono milioni, inoltre, i giapponesi emigrati in Brasile durante e dopo la guerra. In alcune zone si è perfino creato uno stile misto nippo-brasiliano, che va dalla religione ai costumi, dal calcio al cibo (il famoso sushi brasiliano).
Davanti all’entrata del centro erano poste alcune bancarelle. Si vendeva praticamente di tutto, ma ciò che attirava maggiormente i visitatori era l’offerta di spuntini, piatti, ricette tipicamente brasiliane. Anche noi abbiamo approfittato per assaggiare – a prezzi non proprio contenuti a dire il vero – alcuni spiedini saporiti e piccanti. All’interno, in una vasta sala dominata da un palco, era possibile assaggiare piatti più tradizionali della cucina brasileira, tra cui primeggiava una fantastica zuppa di maiale che – ovviamente – non mi sono fatto sfuggire.
Sul palco, infine, ad allietare il pasto dei presenti, si esibiva con una chitarra una ragazza giapponese dall’aspetto mite e trasandato. Cantava in perfetto idioma brasiliano alcune canzoni classiche ed altre sconosciute. Mancando di un impianto di amplificazione adeguato, la sua voce triste arrivava appena a coprire il brusio – comunque sempre controllato – della gente. Sembrava un lamento lontano, una dichiarazione di “saudade” così straziante e allo stesso tempo così spudoratamente brasiliana…