Il nostro tour guidato alla scoperta dello Sri Lanka prevedeva, durante il soggiorno a Kandy, una visita ai Giardini Botanici di Peradeniya. Fin dalla programmazione del viaggio, realizzata insieme a Manjula a colpi serrati di mail e contro-mail, non avevo considerato questa visita come una tappa fondamentale del nostro viaggio. Mi dicevo, infatti: un altro giardino botanico? Dopo tutti quelli che avevo già visto in giro per il mondo! Mi sembrava francamente una perdita di tempo inutile…
Invece mi sono dovuto ricredere. Il giorno prefissato era un sabato, per di più durante l’Esala Perahera, la celebrazione buddista più importante del paese. Era quindi il classico giorno di festa che le famiglie dedicano, in qualsiasi parte del mondo, a quelle occasioni di svago e comunione di cui possono disporre. E una passeggiata nel fresco rilassante di un parco cittadino è una di queste, indubbiamente.
Peradeniya è una località a se stante ma si può considerare un grosso sobborgo di Kandy. Sorge a sud-ovest della città ed è famosa, oltre che per il suo giardino botanico, per alcuni campus universitari molto prestigiosi. Ma il parco è senza dubbio l’attrazione maggiore. E’ uno dei più estesi dell’Asia a anche uno dei più antichi: la sua fondazione risale infatti al 1821, in pieno dominio britannico. La sua superficie ricopre ben 60 ettari e può contare sulla presenza di oltre 4000 specie di piante tropicali.
Si accede ad esso dopo aver pagato un biglietto d’ingresso piuttosto salato (per i turisti) e una volta dentro occorre munirsi di una mappa perché il luogo è davvero sconfinato. Il rischio infatti è di girare a vuoto senza raggiungere mai i punti più interessanti. Il nostro valente autista-anfitrione, Antonio, ci aveva però riservato un altro trattamento. Ritenendo – forse a ragione – che non fossimo proprio all’altezza di affrontare una lunga camminata nel caldo umido di agosto, aveva prenotato un veicolo elettrico a più posti. Il che, sulle prime, mi ha sconcertato, perché contavo di farmi due passi nel parco; ma una volta partiti mi sono reso conto che sarebbero stati ben più di “due passi” e probabilmente non sarei mai riuscito a raggiungere tutti i luoghi più belli con le mie gambe…
In seguito ho capito che il trabiccolo era stato fortissimamente voluto da Antonio, perché era lui, data la mole, l’unico non esattamente in grado di affrontare la camminata. E tale consapevolezza ha attenuato considerevolmente la mia umiliazione…
Il tour dei Giardini Botanici di Peradeniya, grazie alla competenza del driver, che conosceva ogni minimo anfratto del luogo, si è svolto con grande fluidità e in piena rilassatezza. Siamo così riusciti a vedere, senza affaticarci troppo, le specie più rappresentative di quello che può definirsi un tempio al regno vegetale: alberi secolari, piante e arbusti più o meno rari, frutti della foresta, enormi boschetti di bambù, siepi fiorite, eleganti viali alberati e persino animali, molti animali tipici di queste zone. Tra questi, oltre agli immancabili clan di macachi, segnalo le volpi volanti (i pipistrelli della foresta), che a quell’ora si erano collocati sui rami più alti di alcuni alberi a riposare. Così immobili e a testa in giù assomigliavano più a frutti che ad animali…
Non starò quindi a descrivere per filo e per segno quali specie vegetali ho visto o sono riuscito a riconoscere. Non sono un esperto e rischierei di fare una brutta figura. Dico solo che per un appassionato questo luogo equivale a un paradiso in terra. Piuttosto, preferisco descrivere la gente che ho incontrato nel parco, perché è questo genere di osservazioni che ad un certo punto ha assorbito la mia attenzione.
La prima cosa che ho notato è che i Giardini Botanici di Peradeniya sono il luogo più idoneo dove realizzare quello che in Occidente si chiamerebbe il “book” del matrimonio. Nel breve corso della mattinata, infatti, ho assistito a molte scene in cui una sposa, riccamente abbigliata e circondata da decine di amiche, si offriva agli scatti del fotografo di turno per immortalare l’evento. Quasi tutte le ragazze sfoggiavano un abito tipicamente cingalese, come si vede nella foto sotto.
L’altra grande occupazione è costituita dal classico pranzo sull’erba. Interi clan familiari si radunano sotto un baniano o un ficus e dispongono sull’erba ogni ben di dio: naan, riso, curry vari, dolci, bevande, ecc.. Consumano il loro pasto tra chiacchiere e risate e alla fine, immancabilmente, raccolgono ogni minimo scarto e lo fanno sparire miracolosamente. Una lezione di civiltà che è raro riscontrare dalle nostre parti.
Infine, ho notato che i gruppi sono quasi sempre nettamente divisi per etnia. I cingalesi stanno con i cingalesi; gli indù con gli indù; i musulmani con i musulmani. Quest’ultimi, in particolare, si divertivano molto nelle gare di tiro alla fune in cui le squadre contrapposte erano formate da uomini da un lato e donne dall’altro. I tamil, invece, più seri e – probabilmente – con meno motivi di trastullarsi gioiosamente, se ne stavano in disparte in gruppi dove si notava piuttosto nettamente la mancanza dell’elemento maschile.
Insomma, non si intravvede mai una eccezzione alla regola, a meno di non incontrare le scolaresche – anch’esse molto numerose di sabato – che si riversano nel parco ad ondate continue. Qui i bambini si mescolano festosamente tra di loro e non è possibile distinguerli a meno di non osservare qualche foggia particolare, che sia il velo o la tilaka sulla fronte delle bambine, oppure lo zuccotto per i maschietti islamici. Le differenze che in seguito li divideranno definitivamente si fermano qui. In questo stadio della vita, grazie al cielo, sono solo bambini, e la maggior parte delle cose che fanno i bambini di tutto il mondo sono sempre le stesse, a prescindere da etnia, razza o religione.