I numerosi mercati che circondano il lago Inle rappresentano la tappa obbligata di qualsiasi itinerario locale. Tuttavia, rimane ancora da scoprire come siano coltivati tutti i prodotti che riempono in tale abbondanza scaffali e bancarelle. In altre parole, se si vuole conoscere esattamente come funziona l’agricoltura da quelle parti è necessario farsi un giro in barca tra le coltivazioni galleggianti del lago Inle.
E’ la tappa indubbiamente più interessante fra tutte le escursioni offerte, anche se non proprio la più comoda. Il tempo, come al solito, ci può mettere lo zampino e passare qualche ora sotto acquazzoni violenti e ripetuti restando praticamente senza alcun riparo, non è una esperienza gradevole… Ma questo è l’unico modo per scoprire gli stili di vita di chi vive davvero sul lago. L’itinerario può durare anche tutto il giorno, dato che l’area da visitare è molto ampia, ma secondo me vale la pena di affrontarlo.
Noi siamo stati particolarmente sfortunati, come al solito. L’escursione, accuratamente preparata da Sonny, è durata meno di mezza giornata ma è stata purtroppo funestato da frequenti rovesci di acqua e vento che ci hanno costretto a stringerci dentro i nostri impermeabili e, malgrado ci fossimo coperti con tutto ciò che avevamo di pià pesante, a soffrire un freddo umido e pungente.
Il che non ci ha impedito di osservare – e apprezzare – le scene di vita e di lavoro a cui assistevamo lungo il percorso. Scene che ci raccontavano quanto fosse difficile – e allo stesso tempo creativo – sopravvivere da quelle parti. Sul lago Inle si può dire che l’uomo si sia ingegnato per trovare modi e pratiche atte ad assecondare la natura anzichè piegarla ai suoi fini. A iniziare dalla vera, unica, quasi esclusiva peculiarità di questo lago posto a 896 metri sul livello del mare: le piattaforme di coltivazioni galleggianti.
Il lago è praticamente circondato da migliaia e migliaia di piattaforme galleggianti sulle quali i contadini, da secoli, coltivano pomodori, zucchine, fagioli e altri ortaggi. La foto sopra, ripresa da Google Map, mostra abbastanza efficacemente il grado di precisione scientifica con cui queste strutture sono state create e collegate alla terraferma. Le striscioline verticali sono blocchi di coltivazioni; le case, che sorgono un po’ sulla terraferma un po’ sull’acqua, su lunghi pali piantati nell’acqua, sono quelle a sinistra, in ordinata successione. Il lago, naturalmente, è la zona scura a destra.
Ciascuna piattaforma, della larghezza di un metro e mezzo circa e della lunghezza di 20 metri, è un vero miracolo dell’ignegno umano. Consiste di una base di piante galleggianti, quali giacinti d’acqua – pianta non autoctona e infestante – che vengono preventivamente raccolte, accumulate e compattate. Su di essi si colloca un tappeto di parecchi centrimetri di alghe, anch’esse rastrellate con molta fatica in alcuni punti poco profondi del lago. Queste alghe, una volta asciugate, sono bruciate e ridotte in fertile cenere. Questo procedimento si ripete 2-3 volte finché non si raggiunge una consistenza tale da formare un blocco di terra fertile alto circa 50 centimetri.
A questo punto è possibile piantare gli ortaggi. Per tenere ferme le piattagorme e impedire che se ne vadano in giro per il lago, si piantano ogni tre-quattro metri dei pali di bambù che le fissano al terreno sottostante, mai troppo profondo. Questi orti galleggianti sono disposti in fila ed è possibile raggiungerli – e lavorarli – solo tramite la barca. I contadini sono dei veri esperti nel muoversi sinuosamente tra i filari con le loro strette e agili imbarcazioni scure. Qualcuno non scende nemmeno da essa per raccogliere i frutti del suo lavoro, ma si accosta e si mantiene in un ardito – e pericoloso – equilibrio per tutta la durata dell’operazione. Uno spettacolo!