Arrivati a Shangri-La, la prima cosa con cui fare i conti è l’altitudine. Questa piccola cittadina si trova infatti a 3.160 metri sul livello del mare. Sembra poca cosa, a dire il vero, ma posso assicurare che non è così. Quei 3 mila e rotti metri non si avvertono subito, ma progressivamente, nel corso delle prime ore di permanenza, diventando sempre più un fattore di disagio e preoccupazione.
Parliamo della mancanza di ossigeno dovuta alla rarefazione dell’aria a causa dell’altitudine. A 3 mila metri non è un problema tale da precludere le normali attività fisiche, non per chi è abituato, almeno. Tuttavia, stando ai manuali, l’adattamento all’altitudine richiede sempre dai 3 ai 5 giorni. Periodo esagerato per chi, come noi, aveva programmato appena 2 notti a Shangri-La.
Ma come si manifesta il cosiddetto “mal di montagna”? Parlo della mia esperienza sperando che sia utile a chi legge. Il primo accenno, vago a tal punto da assomigliare a una semplice sensazione, è una sorta di mancamento mentre si sta parlando. Avviene a tratti, non sempre, ma ti costringe a prendere improvvisamente fiato nel mezzo di una frase. E’ come se avessi esaurito la scorta di ossigeno all’interno dei polmoni e dovessi rifare il pieno, per così dire. La prima volta non ci fai caso, neppure la seconda. Poi inizi a capire che qualcosa non va. E noti che tutti gli altri turisti ne sono vittime, perché improvvisamente avverti una frequenza inconsueta di “sospiri” intorno a te. Il sospiro, insomma, è la manifestazione più evidente di questa subitanea mancanza d’aria.
Un altro sintomo del mal di montagna, che ti coglie ogni tanto anche se non fai alcuna attività fisica, è un leggero trasalimento, una sorta di emozione violenta. E’ la stessa sensazione di quando si prova una improvvisa paura, quella che alimenta l’espressione “mi è preso un colpo!”. E di questi “colpi” te ne vengono parecchi a Shangri-La! Sono le percezioni più spiacevoli, in verità, perché ti fanno credere di avere perfino qualche scompenso cardiaco…
Il momento più cruciale a queste altitudini è sempre l’ascesa. Una scalinata, una semplice salitella, acquisiscono un peso spropositato rispetto all’effettiva portata dello sforzo. Affrontare adeguatamente tali prove è pertanto di vitale importanza. Devo ammettere che la prima volta che mi sono misurato con l’inconveniente l’ho sfacciatamente sottovalutato. Mi trovavo sulla rampa di scale che conduce ai due templi che dominano la collina principale di Shangri-La. Non più di una sessantina di gradini, interrotti peraltro da due ampie rampe. Un gioco da ragazzi per chi, come me, riteneva di essere sufficientemente allenato per simili imprese.
Nondimeno, la presenza di un numero sempre crescente di persone sedute sui gradini, o appoggiate alle balaustre, avrebbe dovuto convincermi del contrario. Dopo i primi 10 scalini, saliti a ritmo normale (al livello del mare), ho iniziato ad avvertire un inconsueto e imbarazzante fiatone. Non ci ho fatto caso, sulle prime, ma dopo altri 10 scalini, ecco che al fiato grosso si aggiunge un leggero giramento di testa. A questo punto mi fermo e mi appoggio anch’io al corrimano. Mia moglie avverte gli stessi sintomi, quindi concludo che anche noi, malgrado la nostra supponente superiorità fisica, stiamo subendo i rovesci del mal di montagna.
Quella scalinata, in breve, l’abbiamo superata solo dopo aver effettuato almeno tre soste. Non c’era niente da fare: o ti fermavi ogni tanto o rischiavi di andare in crisi di ossigeno, con conseguente annebbiamento della vista e mal di testa crescente. E non pensate che il fenomeno possa capitare solo in salita; anche in discesa è la stessa sofferenza. La regola, insomma, è che qualsiasi movimento fai, prima o poi lo paghi. Come si risolve? La mia seconda ascesa ai templi mi ha permesso di sperimentare la soluzione più idonea. Bisogna fare come gli scalatori professionisti: respirare a ritmo con i passi che si compiono. Una inspirazione e una espirazione ad ogni passo, anche a costo di forzare il proprio naturale ritmo di respirazione. In questo modo si introduce nei polmoni una quantità di ossigeno sufficiente da coprire le necessità dell’organismo.
L’ultimo sintomo a cui fare attenzione, forse il più subdolo e inquetante, avviene di notte. La sera, a letto, dopo una lunga giornata trascorsa a camminare su e giù per le colline, pensiamo di essere sufficientemente stanchi da crollare in un sonno sodo e ristoratore… Magari, fosse così. Appena ti rilassi, chiudi gli occhi e senti che il sonno sta arrivando, ecco che ti coglie un improvviso spasmo: ti manca l’aria e sei costretto a accelerare la respirazione, a “sospirare” con la bocca aperta. Quando mi è successo ho avuto la sensazione che un peso fosse improvvisamente piombato sul mio petto. Assicuro che è una situazione molto spiacevole, perché può avvenire più volte durante le prime fasi del sonno, pregiudicandone la qualità e la durata. Un sonnifero leggero può aiutare.