Ella è famosa nel mondo sopratutto per le sue vastissime e curatissime piantagioni di tè. Ne è letteralmente circondata, da ogni lato, e basta uscire di qualche centinaio di metri dal villaggio per trovarsi immersi nel verde brillante dei suoi filari. Il tè non è solo una florida attività economica. E’ anche l’unico mezzo di sostentamente che ha condizionato, nel bene e nel male, l’esistenza di migliaia di famiglie per generazioni. E’ sopratutto la benedizione e la maledizione di quasi tutte le donne del circondario, che raccolgono le foglie dalle piante a pochi centesimi il chilo, per 12 ore al giorno, sotto un sole spesso implacabile.
Il tè in Sri Lanka lo hanno portato gli inglesi. Prima trafugato in qualche modo in Cina, poi esportato in India e in seguito nell’isola, il tè ha trovato in queste fresche terre collinari l’habitat perfetto per prosperare e produrre le varietà più raffinate del mondo. Si può dire che da questo luogo è partita la globalizzazione di una bevanda che adesso è diffusa quanto e più del caffè o della cioccolata.
La storia del tè non è solo una sequenza di successi. In Sri Lanka si lega alla annosa, tragica guerra tra governo centrale ed etnia Tamil, un conflitto che è terminato da pochi anni e ha lasciato strascichi tremendi. Gli inglesi, non trovando lavoratori a sufficienza sulle colline cingalesi, iniziarono a importarne dall’India meridionale, il Tamil Nadu appunto. Questi lavoratori, all’inizio, erano stagionali, ma in breve divennero stanziali, dato che il tè si raccoglie tutto l’anno, specie in alcune zone dell’isola. Ciò produsse una emigrazione di massa verso Ceylon di nuovi lavoratori con appresso le loro famiglie.
Questo ha scatenato un inevitabile conflitto etnico-religioso, poichè i Tamil sono induisti e la popolazione cingalese è buddista. Fino ad esplodere nella guerra che ha insanguinato Sri Lanka per almeno 3 decenni. Il tè, quindi, come tante altre colture importanti per la nostra civiltà (cotone, mais, gomma, papavero…), si è macchiato del sangue di migliaia di persone. Niente di nuovo, insomma, sotto il sole…
Le piantagioni più famose, in Sri Lanka, sono quelle che appartenevano a Sir Thomas Lipton. Sì, proprio lui, il proprietario del marchio forse più conosciuto fra i due poli della terra. E le sue piantagioni non erano situate in un posto qualsiasi, no davvero. Gli appezzamenti Lipton sorgono ancora oggi lungo quella fascia climatico-geografica che è considerata il punto ideale dove coltivare il tè. Le condizioni sono infatti ottimali: l’altezza media è di 1500-1800 metri, piove in abbondanza ma il sole allo stesso tempo non manca mai, il vento refrigera i campi.
La visita a questo luogo magico e fortunato è quasi un obbligo per i turisti. Quindi conviene organizzare tutto direttamente da Ella, tramite qualche agenzia locale o driver indipendente. Malgrado la distanza non sia elevata, suggerisco di evitare di ricorrere ad un tuc tuc. Non almeno per il primo tratto. La strada è piuttosto articolata e percorrerla tutta dentro l’abitacolo traballante di un mezzo sgangherato non è una esperienza esaltante, posso assicurarlo.
In teoria, basta arrivare a Haputale, un borgo sperduto tra le colline in cui sorgono alcune grandi – e anonime – fabbriche ti tè. Da qui si procede in salita per raggiungere le piantagioni più belle, perlomeno paesagisticamente parlando. Haputale è anche l’ultimo luogo transitabile con mezzi più larghi di un metro e mezzo. Oltre questo avanposto inizia una strada stretta, tortuosa, impervia, che si arrampica tra le piantagioni per almeno altri 800 metri.
Una via che molti turisti preferiscono fare a piedi, per godere di aria pura e panorama, ma che non mi sento di consigliare. Sono 7 chilometri, il clima è tropicale, il sole picchia, e se non c’è il sole sicuramente piove. Dato che auto e pulman non sono in grado di percorrere l’interno tragitto per via della carreggiata stretta, consiglio spassionatamente di noleggiare un tuc tuc. E’ facile mettersi d’accordo con il conducente su dove andare esattamente, quando fermarsi per fare qualche foto, dove farsi lasciare ed eventualmente farsi riprendere. Il costo è contenuto: solo andata 1000 rupie, il doppio naturalmente per farsi riportare indietro.
L’appuntamento finale è il “Lipton’s Seat“, la seduta di Lipton. Si tratta del luogo in cui il famoso sir inglese di cui sopra veniva ogni giorno a prendere una boccata di aria pura e, contemporaneamente, a rimirare la sua immensa proprietà. Il paesaggio è francamente mozzafiato. Le piantagioni di tè tappezzano con i loro filari ininterrotti tutte le colline intorno, dando una impressione di ordine e pulizia tipicamente britannica. Il rovescio della medaglia è che dove c’è il tè una volta c’era la foresta pluviale. La coltivazione intensiva di questa pianta ha praticamente deforestato gran parte del territorio collinare dell’isola. I pochi alberi sopravissuti, in gruppetti striminziti, si intravedono sulle cime più alte, quelle più impervie dove l’uomo non è in grado di piantare alcunché.
L’aspetto antropologicamente più interessante della salita al Lipton’s Seat è la possibilità di incontrare, lungo la strada, le lavoranti che trasportano il tè su grandi sacchi di iuta. Sono tutte donne, come accennato il precedenza, e quasi esclusivamente di etnica Tamil. Si incontrano spesso in fila indiana, ognuna piegata quasi a 90 gradi sotto il peso del suo grande sacco colmo di foglie, che si fanno educatamente da parte ogni volta che un tuc tuc freccia loro accanto. Apparentemente nulla sembra turbarle, né l’attenzione morbosa dei turisti, nè il sole a picco o la pioggia battente, né quantomeno il frenetico viaviai che le circonda…
La loro meta è un crocevia, un gomito di una curva, dove la strada si allarga naturalmente. Lì le aspetta un uomo con un taccuino e una penna. Le donne scaricano il loro fardello su un telone e il tipo tiene nota di ogni carico. Le foglie si accumulano disordinatamente ad ogni arrivo, creando un cumulo sempre più elevato. Una donna è incaricata di rimescolarle, con le mani e con i piedi, come si vede nella foto. Tutta l’operazione dura pochi minuti. Neppure il tempo di scambiare quattro chiacchiere che le povere donne sono costrette a tornare al lavoro. Di nuovo, si incamminano in fila indiana ai lati della strada in direzione dei campi, per ricominciare un nuovo ciclo di raccolta e scarico…
Oggi, dopo aver assistito a quanta fatica serve per produrre quella bevanda profumata – che peraltro neanche mi piace – ogni volta che mia moglie decide di invitare qualcuno a “prendere un tè” mi sento in colpa…
Area 360°
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