L’immagine di questo post mostra le ultime ore di vita di un ponte sul fiume Nam Kham. Riconosco che si tratta di una costruzione che non dà l’idea di essere la più robusta in assoluto, e neppure una delle più stabili… ma immaginare che fine avrebbe fatto, quel giorno, sarebbe stata una follia.
Questo scorcio meraviglioso, in effetti, è stato anche la prima visione del paesaggio intorno a Luang Prapang il pomeriggio del nostro arrivo. Dopo una giornata di viaggio, caratterizzata da un continuo sali e scendi e da innumerevoli soste per far riprendere fiato al nostro bus, finalmente siamo arrivati ai piedi della città più famosa del Laos. Ai piedi dico perché la stazione degli autobus non si trova esattamente al centro. Per raggiungerlo è necessario prendere un tuc tuc, con tutti disagi del caso (spazio ridotto per passeggeri e valige, contrattazione feroce del prezzo, puzza di smog ecc.).
Una volta preso possesso del nostro albergo ci siamo fiondati fuori per il primo approccio alla città, e dopo pochi passi ecco che si apre davanti a noi il paesaggio illustrato nella immagine sopra. Un fiume ampio e placido, dalle acque marroni ma pulite, circondato da colline ricoperte di vegetazione lussureggiante, e in fondo un tempio seminascosto dalle chiome degli alberi. Una immagine mozzafiato, che ho immediatamente provveduto a immortalare con la mia Nikon. A migliorare sensibilmente il tutto, un cielo appena annuvolato con i raggi di sole che coprivano ogni elemento di una luce intensa, vagamente arancione. Il top per un fotografo.
Percorrendo qualche passo verso il fiume, abbiamo avuto l’opportunità di dare un’occhiata più approfondita. Il ponte, in realtà, sembrava più una passerella. La rappresentazione stessa della precarietà. Uno stretto nastro di assi di legno transitabile solo da una persona alla volta; i corrimano erano costituiti da lunghi e irregolari tronchi di bambù che non garantivano assolutamente sicurezza e stabilità. Il ponte conduceva ad una collina in cima alla quale sorgeva un padiglione buddista. Un luogo poco documentato sulle guide di viaggio ma piuttosto ricercato dai turisti, a giudicare dalla fila che si stava formando sulla parte nostra della riva. Io stesso, divertito e eccitato dall’idea di poter camminare su una tale realizzazione, ho prospettato subito a mia moglie di raggiungere l’altra sponda; dato che sopraggiungeva l’oscurità, ho proposto questa gita per l’indomani mattina, confidando nel tempo e nel fatto che avremmo avuto più tempo per affrontare la traversata.
Il giorno dopo si è scatenato l’inferno. Ha iniziato a piovere di prima mattina e man mano che passavano le ore l’acquazzone si è trasformato in bufera tropicale. Dopo pranzo, in un momento di momentanea quiete, siamo andati a vedere il fiume e il ponte non c’era più. Sparito, polverizzato. Ciò che abbiamo visto, più o meno dalla stessa mattonella in cui avevo scattato la prima foto, era questo:
E’ bastata una forte pioggia monsonica per alzare a tal punto il livello del fiume da spazzare via il ponticello di travi e foglie. E la cosa era avvenuta probabilmente qualche ora prima, forse in tarda mattinata, perché vedevamo ancora i resti della costruzione e alcune persone sguazzare nell’acqua intente a recuperare un po’ di materiale. In parole povere: se la mattina fossimo passati sul ponte per andare sulla riva opposta, non lo avremmo trovato al nostro ritorno. E il pensiero che qualcuno potesse esserci passato, mentre arrivava la piena, mi ha fatto rabbrividire, malgrado i 32 gradi all’ombra…