E’ innegabile che a Bali l’attrazione maggiore siano i suoi templi. Sono dappertutto (ce ne sono almeno 10.000), e in alcuni luoghi sembrano appartenere al panorama dall’inizio dei tempi, come i vulcani, le foreste e i laghi. Ciò che è più rilevante, tuttavia, è che i templi di Bali rappresentano l’elemento identitario più importante della sua popolazione. Sono templi induisti, infatti, non moschee islamiche come nel resto dell’Indonesia. I suoi abitanti seguono una religione che è nata a molte migliaia di chilometri di distanza ma che, in un passato remoto, era la più potente e coinvolgente di tutta l’Asia.
Bali è l’ultimo baluardo di quella antica espansione. Una specie di avanposto in un’area dominata dall’Islam e dal Buddismo. L’induismo dei balinesi, tuttavia, è di un tipo particolare. Non sembra seguire i riti che si osservano in India o nel Nepal. Al contrario, a Bali l’induismo è caratterizzato da una forte permeabilità a tutte le religioni che lo hanno preceduto e seguito. Ha sapientemente inglobato elementi dei riti animistici preesistenti ed ha resistito prima all’avanzare del Buddismo, poi al dilagare dell’Islam, assimilando qualche elemento di queste religioni nella propria. Un modo intelligente di sopravvivere.
I templi di Bali si chiamano “pura”, termine di orgine sanscrita che significa “spazio delimitato da un muro”. E quindi la prima caratteristica a cui fare attenzione è la seguente: se c’è il muro, ci troviamo al cospetto di un tempio ufficiale; se non c’è, allora si tratta di un tempio minore, appartenente a qualche clan o famiglia. Il muro non ha scopi difensivi ma solo religiosi: serve a delimitare l’area sacra. Le funzioni religiose – frequentissime – vengono svolte esclusivamente al suo interno e quando ciò avviene i turisti sono pregati di restare fuori, tranne alcune, rare, eccezioni.
La caratteristica dominante di quasi tutti i templi di Bali è la loro composizione interna: non sono edifici singoli, come avviene per pagode, chiese e moschee, ma un insieme di altari e tempietti, dislocati uno accanto all’altro, spesso collocati in zone strategiche all’interno dello spazio sacro, inaccessibile ai non fedeli. I templi hanno tutti una struttura snella, elegante, slanciata: assomigliano a delle pagode giapponesi, con quella straordinaria serie di tetti disposti uno appresso all’altro che si restringono a salire. Queste coperture non sono composte da tegole ma da un insieme compatto di giunchi. Il colpo d’occhio generale è magnifico, come si può apprezzare dalle foto di questo post.
Un’altra peculiarià, tipica di Bali – ma presente anche in alcuni templi di Giava e Lombok – sono le “candi bentar“, o porte spaccate, cioè il tipico ingresso al tempio presente su ogni lato di esso. Sono fondamentalmente dei blocchi di mattoni che assomigliano a delle vele, o ali, disposte una di fronte all’altra a creare un passaggio verso l’interno dell’area sacra. Tale passaggio è solitamente elevato ed è raggiugibile tramite una rampa di scale che può essere di pochi o parecchi scalini, a seconda dell’importanza del luogo.
Nei templi si entra con le gambe coperte dal sarong, come ho raccontato già qui. Non è possibile assistere alle cerimonie ufficiali, a meno di non essere un fedele o far parte della comiunità. E’ invece estremamente agevole poter osservare i locali nel corso dei loro rituali. Che spesso si riducono all’offerta di cibo e a qualche momento di preghiera. Se vi capita di osservare una donna depositare davanti all’altare un’anatra viva, non allarmatevi, non succederà nulla al povero animale. Si tratta di una offerta simbolica, per così dire; l’anatra non verrà sacrificata, come probabilmente avveniva in passato, ma è quasi certo che tornerà sana e salva al campo da cui è stata prelevata.
La maggior parte delle offerte viene elegantemente impacchettata in cestini di foglie intrecciate, riempiti in gran parte da vegetali, frutta e riso. I tavoli che le ospitano, posti ciascuno dinnanzi al proprio altare “di pertinenza”, in breve tempo si riempono di alimenti e manufatti fino a non sapere più dove metterli. Se non intervenissero corvi, scoiattoli e scimmie come spazzini, ogni tempio si ridurrebbe presto a un immondezzaio.
Ad ogni modo, la principale qualità di questi luoghi è l’armonia che regna al loro interno. Ogni spazio è strutturato in maniera perfetta: non una pietra è fuori posto, non un fiore è di troppo, non una scultura sembra pacchiana. Una gradevole atmosfera di pace pervade ogni cosa. E gli stessi turisti, una volta indossato il sarong, sembrano intuirlo immediatamente, adattandosi alle consuetudini dei locali. Non è raro, pertanto, indugiare all’interno di questi templi, specie quelli più grandi e complessi, godendo dei piaceri del silenzio e del raccoglimento; lasciando fuori per un attimo la bolgia esterna, dove motorette, auto e bus turistici la fanno da padrone…